sabato 5 giugno 2010

Scritture a perdere


"Rispetto al percorso di Guglielmi, quello di Giulio Ferroni (al quale personalmente devo almeno altrettanto) si presenta antitetico - e complementare. Della Weltanschauung modernista Ferroni ha indicato prima di altri, infatti, le contraddizioni e le aporie. Sintesi del suo interrogarsi, nel ’96, fu Dopo la fine: che diagnosticava un esaurimento della tensione progressiva delle arti, «dopo» il quale non si poteva che adottare un atteggiamento «postumo». Quel saggio epocale riesce (Donzelli, pp. XX- 231, e 9) con un'introduzione che ne rilancia i paradigmi, avvertiti come ancora più attuali un quindicennio dopo.
Cosa sia avvenuto nel frattempo lo mostra, in toni più mordenti, il pamphlet Scritture a perdere (Laterza): la sovrapproduzione di merci culturali seriali, già denunciata da Dopo la fine, s'è ingigantita con la rivoluzione
digitale; nel frastuono di questo rumore di fondo sempre più difficile è distinguere ciò che fa eccezione, invece, per necessità espressiva, senso di responsabilità e consapevolezza linguistica. In una parola, per la sua qualità. È il paradosso, scrive Ferroni, «di una letteratura che si moltiplica e contemporaneamente arretra, assediata dall’impero dei media».
Sul Corriere della Sera Franco Cordelli si è chiesto se siano ancora adeguate le categorie del pensiero critico neomarxista implicate da Ferroni. Ma come negare che gli scrittori «industriali» di oggi pubblichino solo per narcisisticamente «mostrarsi» (due «icone» particolarmente stucchevoli vengono da lui indicate in Margaret Mazzantini e Paolo Giordano) mentre, «con la messa in quarantena della critica, viene messo in primo piano chi ha più audience e vende di più»? Se talora i suoi toni appaiono moralistici, e dunque controproducenti, è perché Ferroni - e non solo lui, del resto - avverte superati tutti i livelli di guardia. Di recente è capitato di veder presentato il «mercato» come luogo idilliaco degli incontri e degli scambi, dove gli uomini sono «tesi a comprendere e interpretare ogni elemento nuovo» (Federica Manzon su Nuovi Argomenti).
Sostiene Marco Belpoliti che il nostro è il tempo dopo la fine della vergogna: che un pezzo ideologico come quello della Manzon (proprio nel senso stigmatizzato da Marx!) venga pubblicato da una rivista storica della sinistra italiana, parrebbe confermarlo." (da Andrea Cortellessa, C'è troppo rumore, la scrittura non si sente, "TuttoLibri", "La Stampa", 05/06/'10)

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