sabato 26 giugno 2010

Il realismo si è tinto di noir


"Non è che il noir come genere o i "giallisti" - come ci continuiamo a chiamare anche quando scriviamo altre cose - abbiano scelto di diventare narratori della realtà sociale e politica italiana con un atto razionale e magari programmatico. Non è così che avvengono le cose in narrativa. La realtà, i risvolti politici e sociali della nostra storia noi li abbiamo incontrati sulla nostra strada. Perché a forza di raccontare la metà oscura delle cose - che è il nostro campo - finiamo per ritrovarci in mezzo a fatti di politica, di economia e di storia, proprio perché una parte notevole di quella politica, di quella economia e di quella storia in Italia si muovono, appunto, in quella metà oscura. Insomma, in un mondo di pazzi lo psichiatra è soltanto un sociologo. Così quando ci siamo trovati ad incrociare quella realtà così complessa, così strana e così italiana le abbiamo semplicemente applicato i nostri strumenti narrativi, le nostre armi: il mistero, l'indagine, l' intreccio, anche la suspence e il colpo di scena. È stata una cosa naturale e più o meno ha quasi sempre funzionato. Faccio un esempio di quello che è successo a me come narratore di misteri in televisione. Il primo programma che ho fatto si chiamava Mistero in Blu, era più o meno il '98 e stava su Rai2. Mi avevano chiamato Carlo Freccero e Simona Gusberti per raccontare casi di cronaca come aveva fatto fino a quel momento un bel programma come Telefono Giallo. Casi di cronaca, omicidi cosiddetti "privati". Noi lo abbiamo fatto per tre o quattro anni - alla nostra maniera, naturalmente - passando a Rai3 e chiamandoci Blu Notte. Ma succedeva sempre una cosa. Incontravamo a volte nei nostri casi risvolti più complessi, che avevano a che fare con politica, storia o economia, e che lasciavamo da parte proprio perché più complessi. Non era compito nostro, noi raccontavamo il giallo, chi ha ammazzato chi e come. Ma soprattutto incontravamo sempre, nella nostra vita di tutti i giorni, riferimenti a quella politica, quella storia e quella economia che semplificando chiamiamo "Misteri italiani". Perché non si può vivere in Italia senza incontrare mafia, terrorismo, istituzioni deviate e finanza criminale, anche solo nei ricordi. Ci sarebbe piaciuto raccontare anche quelli ma come fare? Sono un'altra cosa, non sono "gialli", e poi sono, appunto, troppo complessi. Avevamo un mito, la strage di Piazza Fontana. Ci sarebbe piaciuto raccontarla ma per le ragioni di cui sopra ci sembrava fuori dalla nostra portata. Poi, un giorno, ci siamo chiesti perché. Perché fuori dalla nostra portata. Il nostro mestiere in tutti quegli anni era stato rendere comprensibili le cose complesse - cosa c'è di più complesso della trama di un "giallo"- renderle appassionanti - cosa c'è di più appassionante di un "giallo" - e fare in modo che il racconto di quelle storie servisse a qualcosa - ricordare la vittima, capire gli errori della società e degli investigatori, fare memoria. Perché non applicare tutto questo alla Strage di Piazza Fontana? Ecco, è quello che abbiamo fatto, più o meno ci è riuscito e da allora non ci siamo più fermati. È così che, per quanto mi riguarda, il "giallo", nei libri come in televisione, ha cominciato a raccontare la storia. Quella passata e quella di oggi." (da Carlo Lucarelli, Il realismo si è tinto di noir, "La Repubblica", 26/06/'10)

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