lunedì 28 giugno 2010

Senza scrittori


"'Credo di non aver mai letto un vincitore dello Strega degli ultimi dieci anni': le labbra strette e l'occhio strizzato, Tiziano Scarpa avrà certo messo in conto che, dicendo questo, le stesse cose potrebbe riepterle il vincitore dello Strega 2010, infilando anche il suo Stabat mater, Strega 2009, nel buco nero e indistinto dove giacciono i romanzi lasciati intonsi. Sono i paradossi di quel che resta di una società letteraria. La battuta di Scarpa, raccolta nel catino fumigante del Ninfeo di Villa Giulia, è fra quelle che introducono Senza scrittori, un film documentario di Andrea Cortellessa e Luca Archibugi, critico letterario il primo, regista il secondo, una bella inchiesta prodotta da Rai Cinema e Digital Studio che stasera viene proiettata all'Azzurro Scipioni di Roma, in coincidenza non casuale con la trepidante vigilia del Premio Strega che, appunto, giovedì incorona il suo 64° vincitore.
Senza scrittori è un prolungamento del catalogo stilato da Alberto Arbasino nel suo Un paese senza, un elenco di tutte le cose di cui l'Italia è mancante. Racconta il predominio che la macchina editoriale, soprattutto quella dei grandi gruppi, ha assunto nel mercato della letteratura, dove non ci sono più opere o scrittori, critici o riviste, ma solo libri, solo produzione industriale, solo una filiera perfettamente assestata, e nella quale, però, quella che un tempo si chiamava la società letteraria ha pensato bene di accomodarsi, spintonando un po' e anche dando di gomito, ma trovando un cantuccio nel quale sistemarsi.
Un cantuccio troppo stretto per Antonio Scurati, che ancor prima di essere battuto per un voto da Scarpa, confessa che, sì, è vero, «da qui uscirò triturato anche dal punto di vista del mio stato d'animo», ma che trova il coraggio di annunciare il suo disprezzo per una «società letteraria dalla quale stasera prendo congedo, vada come vada». Un cantuccio stretto anche per il giovane Giorgio Vasta, che lamenta come «la letteratura venga assunta solo se si incarica di essere manutenzione della realtà e che quando ha l'ambizione di essere qualcosa d'altro, le viene sottratta la fiducia». Un cantuccio che sia Scurati che Vasta guardano sempre dall'osservatorio del Ninfeo di Villa Giulia. Cortellessa, camicia e pantaloni rossi, si aggira come un bonario diavoletto fra i tavoli imbanditi dello Strega, filma le calzature che stropicciano il brecciolino, sovrappone la camminata di un metaforico pavone e domanda a Francesco Piccolo se questa è una messinscena da commedia all'italiana, ottenendo come risposta che «qui c'è l'Italia, non la commedia, che in fondo era più dolorosa». Fra scalpiccii e risatine stiracchiate, ecco invece il corrucciato Valentino Zeichen: «Decadente? No, non è una società di grandi decadenti, questa è una società frolla, senza scheletro morale, priva di grandi progetti, di idealità. Una società stanca». Lo Strega mostrerà pure lo spettacolo di una letteratura in cui, sentenzia il vincitore Scarpa, «tutto è vanità». Ma è un po' come la nazionale di calcio, raccoglie quel che trova. E allora ecco che Cortellessa, sempre di rosso vestito, interroga giornalisti come Stefano Salis e critici come Marco Belpoliti, si sofferma spaurito fra i banchi di Fnac e deliziato fra quelli della Coop - accompagnato da Romano Montroni -, ascolta i due proprietari della storica libreria Tombolini di Roma e il responsabile della Demoskopea. Insomma insegue quella filiera produttiva che incasella lo scrittore e la sua opera, dal momento in cui questa prende forma a quando viene distribuita e recensita, meglio se esibita con il suo autore da Fabio Fazio o dalla Dandini o sul palco di un festival. E allora il punto culminante non può che essere una visita a Segrate, dove c'è la Mondadori, cioè «la Xanadu dell'editoria italiana, la centrale dove si fanno i grandi giochi della nostra letteratura». Qui interroga Antonio Franchini, responsabile della narrativa Mondadori, che vive la grande scissione, annota Cortellessa, dell'essere scrittore e dell'essere editore. E qui si introduce anche un parola che non si sentiva da tempo: letterarietà. Che cos'è che rende letterario un testo? Può essere la letterarietà a distinguere fra scrittori di successo e scrittori che si concentrano sulla qualità e la sperimentazione, per esempio? Letterarietà, risponde Franchini, «è un'idea discussa, allargata, non più condivisa». Ma il fatto che le discriminanti siano venute meno che effetto fa? (domanda Cortellessa) «Rende il tutto più divertente, più anticonformista». Il controcanto è affidato a Francesco Cataluccio, ex direttore alla Bruno Mondadori e poi da Bollati Boringhieri: «La società italiana è diventata più cinica, non poteva che diventare più cinica anche l'editoria»." (da Francesco Erbani, Dove è finito lo scrittore, "La Repubblica", 28/06/'10)

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