lunedì 14 giugno 2010

Cesarina Vighy: 'Il mio addio è una e-mail'


"Cesarina Vighy è stata una sorpresa letteraria sia come protagonista di un esordio notevole (L'ultima estate, premio Campiello opera prima), sia come protagonista di una malattia progressiva, la sclerosi laterale amiotrofica, che le ha imposto la schiavitù di un danno irreversibile ma anche i tempi di una «nuova vita». Da lì è venuto anche il secondo libro, Scendo. Buon proseguimento (titolo di evidente derivazione caproniana), uscito qualche giorno prima della morte.
Nato dalla cernita e dal montaggio di tante mail scritte dall’ottobre del 2007 al marzo del 2010, non comuni ingredienti di leggerezza e d’incanto ne fanno una specialissima lettura.
Intanto una rara vivacità di scrittura a contrasto con una condizione di sofferenza che non solo si rinnova ogni giorno, ma che ogni giorno si aggrava. Poi un gran senso dell’umorismo ma a tratti anche del comico (due registri che Vito Mancuso nell’introduzione sottolinea con fin troppo netta spartizione). Infine (e non è tutto), una notevole capacità di svariare tra argomenti diversi, strizzandone spesso il senso con sagacia epigrafica, quasi aforistica.
Tutto un mondo che parla da una specola ridottissima: una finestra da cui guardare, le pareti di un appartamento romano entro cui (sempre più stentatamente) deambulare. Ma da questo foro (così amico di quell’altro più interiore che la Vighy evoca con costante ironia) quanta vita e quanta vitalità! Una condizione coatta che sprigiona una non arresa energia d'animo e persino una sorprendente dose di speranza: «Se ricordo bene è proprio la Speranza a restare in fondo al vaso di Pandora dopo che tutti i mali se ne sono scappati via, a infettare il mondo».
Si è quasi imbarazzati a dare conto della quantità di temi che rimbalzano da una mail all’altra nella fitta corrispondenza - a volte assidua altre volte saltuaria - con la figlia (l’«alice» in tutte salse), il nipote («il nostro angelo musicante»), il marito (l’«angelo kapò» che sotto la «scorza mutriosa» nasconde non piccole virtù di dedizione). E poi gli amici, le amiche, l’editore, i critici, altri personaggi veri o fittizi, e così via.
Un universo intessuto ricordando episodi vissuti, parlando del romanzo (d’esordio) di cui si assiste qui alla gestazione e alla nascita, godendo del momento vincente, impartendo - con posologia omeopatica - pillole di saggezza tagliente, citando libri («li amo, e li ho sempre amati, come e più degli esseri umani»), raccontando aneddoti, correggendo refusi, convocando autori, insistendo sul proprio laicismo irriducibile, comprimendo con il non amatissimo Pascal l’io odioso (il «moi haïssable»), scrivendo poesie (una che s’intitola Alpheus, bellissima), evocando l'ormai irraggiungibile patria veneziana, registrando con gratitudine il privilegio elettivo di quella romana, infilando idiosincrasie come perle, inanellando cadute come un calvario, combattendo la buona battaglia come un’attrice brillante, sbertucciando i medici con gaudiosi motteggi, non senza scoprire - pro bono malum - che la malattia ha anche (moderati) vantaggi.
Su tutto - con bello scambio di ruoli - la consapevolezza di andare «sempre più somigliando» alla protagonista del suo libro d’esordio: alle soglie del congedo,
la capacità di vivere con leggerezza - senza traccia d’autocompassione - l’annuncio dello zero finale: consegnandosi alla tenacia di un gesto, al fiammeggiare di una parola, alla spietata pietà di un'esistenza che - quantunque sempre più esigua - non rinuncia a registrare la sua quota di avventura." (da Giovanni Tesio, Il mio addio è una e-mail, "TuttoLibri", "La Stampa", 12/06/'10)

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