mercoledì 23 giugno 2010

I filosofi e la vita


"La crisi dei nostri giorni non ci avrebbe colto impreparati se solo avessimo letto e prestato attenzione a quei pensatori del Novecento che, su sponde filosofiche e politiche opposte e spesso tra loro in conflitto, avevano descritto il tracollo dei valori su cui l´Occidente aveva costruito se stesso, e il dispiegarsi di quel teatro dove il nichilismo, "l´ospite inquietante" annunciato da Nietzsche, dettava a tutti gli attori la loro nuova parte.
Oggi è possibile rimediare a questa lacuna con la lettura di un libro, I filosofi e la vita, (Bompiani) scritto da Antonio Gnoli e dal compianto e caro amico Franco Volpi, in cui sono raccolti una serie di articoli e le interviste che gli autori fecero ai filosofi del Novecento, o, se defunti, ai loro figli che ne custodiscono la memoria e gli epistolari. Ne risulta un interessante intreccio, dove il pensiero filosofico si contamina con le vicende della vita, ivi compresa la vita del filosofo, che talvolta ne condiziona il pensiero e talvolta lo lascia imperturbato nelle sue analisi lucide e penetranti.
È il caso di Heidegger, di cui Franco Volpi ha curato le traduzioni delle sue opere per Adelphi, che dissolve la metafisica dell´Occidente, decreta la fine della centralità dell´uomo nella storia, annuncia l´avvento della tecnica che ridurrà gli uomini a "im-piegati" degli apparati tecnici, quando non a semplice materia prima, «la più importante materia prima (die wichtigste Rohstoff)». L´intervista è al figlio Hermann Heidegger che rievoca i rapporti di suo padre col grande giurista tedesco Carl Schmitt, e soprattutto con Ernst Jünger, i cui scritti giovanili piacquero all´intellighentia nazista, anche se Jünger, come peraltro testimonia anche Hannah Arendt, nazista non lo fu mai.
È lo stesso Jünger a confermarlo nell´intervista rilasciata, in prossimità del suo centesimo compleanno, in cui ricorda che ebbe salva la sua vita grazie a Hitler, lettore dei suoi libri giovanili, contro il parere di Goebbels e Göring che volevano la sua testa. A Carl Schmitt, padrino di suo figlio Alessandro, Jünger un giorno chiese se avesse un mitra in cantina. E a Schmitt che gli chiedeva perché, Jünger rispose: «Perché lei ha pronunciato la sentenza: il Führer crea il diritto. Una frase, dal punto di vista politico molto pericolosa». E poi una profezia: «In questo evo il poeta dovrà andare in letargo. Ciò vuol dire che le azioni sono più importanti della poesia e del pensiero che le cantano e le riflettono. Sarà un evo molto propizio per la tecnica, ma sfavorevole alla cultura».
Cambiando scenario, un´intervista al novantenne Albert Hofmann, scienziato svizzero, chimico di professione e umanista per passione, che scoprì l´Lsd e, a partire dalla sua scoperta, prese a leggere «il modo in cui l´Occidente ha guardato e vissuto la propria instabilità e precarietà». Nato per un utilizzo psichiatrico, l´Lsd fu nominato "psichedelico" perché «atto a manifestare la psiche». Hofmann lo assumeva insieme a Jünger per «potenziare la sensibilità e sperimentare quel sentimento oceanico che ci fa sentire tutt´uno col mondo». A sentire Hofmann, anche Platone, Pausania, Marco Aurelio conoscevano l´uso di allucinogeni, come ad esempio il kykeon, la bevanda psicotropa impiegata nei misteri di Eleusi.
Non di droghe, ma di vino era appassionato Hans-Georg Gadamer che, all´arrivo di Volpi e Gnoli recatisi nella sua casa per intervistarlo, offre una bottiglia di eccellente Montepulciano. Gadamer era sulla soglia dei cent´anni, ma non aveva dimenticato quella frase che leggiamo nel Simposio di Platone. "In vino veritas". A fianco di tutti i grandi pensatori tedeschi: Husserl, Scheler, Hartmann. Heidegger, Gadamer, già a vent´anni, vive con scetticismo la fiducia che allora si nutriva nei confronti della scienza e della tecnica, e dopo aver letto le Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann, prese a riflettere sulla distanza che si era venuta a creare tra «i valori spirituali della Kultur umanistica rispetto a quelli materiali della moderna Zivilisation».
Con Marcuse, Horkheimer, Ritter, Löwith, Hans Jonas e Leo Strauss, anche Gadamer assiste alle lezioni di Heidegger restandone affascinato, ma discostandosi quando il maestro pensò di «promuovere un rinnovamento dell´università cavalcando, con un´incredibile e inimmaginabile ingenuità, il movimento nazionalsocialista», quasi a sottolineare che non sempre la vita accompagna la grandezza del pensiero, ma anche che la grandezza del pensiero può trovarsi in uomini "pavidi" come Heidegger. Ad Heidegger va comunque riconosciuto il merito, osserva Gadamer, di aver individuato per primo e con più lucidità di tutti che «il progresso tecnico, nel bene e nel male, è diventato il nostro destino». E alla domanda: «Quale sistema politico assegnare alla tecnica per contenerla?», la risposta di Gadamer è: «La democrazia? Chissà».
Franco Volpi e Antonio Gnoli girarono in macchina tutta la Germania per intervistare i testimoni del pensiero del Novecento. Dobbiamo essere grati a questo loro peregrinare che ci consente di conoscere, per voce diretta, la loro interpretazione del secolo appena concluso. Scrive Gnoli: «La caratteristica assolutamente definitiva dei morti è la loro assenza. Ma essi tornano sotto altra forma, come un debito che abbiamo contratto con la loro vita che si è chiusa». E questo vale non solo per i grandi filosofi intervistati, ma anche per Franco Volpi, vittima un anno fa di un incidente mortale sulla sua bici, a cui Massimo Donà ha dedicato il numero di Panta Decalogo (Bompiani) con belle foto di Volpi e Gnoli, i due girovaghi in cerca di testimoni del pensiero." (da Umberto Galimberti, Così vivono i filosofi. Il ‘900 con gli occhi dei pensatori, "La Repubblica", 23/06/'10)

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