sabato 26 giugno 2010

Il mondo è un giallo


"Un gentile lettore la scorsa settimana ha scritto a Repubblica per lamentare il fatto che anche questa estate, come tutte le estati, la Rai programma le repliche della Signora in giallo: gli stessi episodi, tutti gli anni, visti e rivisti, aggiunge il lettore, «con esito scontato» (probabilmente intende affermare che l' esito fosse scontato già all'epoca della prima messa in onda). In effetti la Rai potrebbe (come al solito) sforzarsi un po' di più, ma il fatto è che il genere giallo, noir, poliziesco, di indagine o comunque lo si chiami o colori è la chiave di lettura contemporanea della realtà. Lo è, o è ritenuto esserlo: il che, nei territori dell'immaginario, è su per giù la stessa cosa. Per rispondere a quel lettore lo si potrebbe allora rimandare all'inserto speciale della rivista francese Lire, dedicato al genere del poliziesco, che in quella sede viene dichiarato il "preferito dei francesi" (e, a giudicare dalle classifiche di vendita, si sarebbe potuto dire abbastanza tranquillamente anche "degli italiani"). Oppure indicargli i siti e i blog letterari dove, negli ultimi anni, la questione dei generi letterari e la presunta egemonia del giallo e del noir nell'editoria italiana odierna è stata dibattuta fino a quella soglia critica in cui l'ennesima visione di un caro episodio della Signora in giallo torna a essere (in comparazione con il proseguimento della polemica medesima), del tutto desiderabile. O raccontargli delle delizie del crossover tramite cui gli investigatori di Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli si incontrano in una recentissima opera a quattro mani, che è un po' come quando Pinocchio vede Arlecchino al teatro di Mangiafuoco o, in termini più pertinenti, quando i maggiori detective del pianeta collaborano e bisticciano sul set di Invito a cena con delitto o nelle pagine dell' edizione fruttero-lucentiniana del Mistero di Edwin Drood di Charles Dickens.
Rimanendo nella programmazione televisiva, basta dare un'occhiata ai palinsesti, non solo estivi. Che sia un tg, un programma di rievocazioni storiche o una fiction, un morto ammazzato non guasta mai e, a differenza della donna nuda o dei mondiali di calcio (che dividono), mette d'accordo tutti. Specialmente nelle fiction minori, quelle scritte solo con il mestiere, ci si rende conto di come il "giallo" sia già un modello di trama, buono per tutte le occasioni. Se avete un personaggio da far recitare o avete un'idea particolare oppure, in mancanza di qualsiasi ideao di un' idea qualsiasi, lo fate detective (è il caso sia di Bud Spencer sia di Terence Hill): così avrete occasione di fargli ficcare il naso dappertutto, di mostrare qualche scorcio di centri storicie sordide periferie, di entrare negli ambienti sociali più diversi mentre la suspense è lì a disposizione, senza particolari sforzi di sceneggiatura. Parlare "in genere" non è mai bello, neppure quando il genere è un genere letterario. Almeno occorrerà non farne un unico minestrone, dove il mestolo può catturare di volta in volta Simenon, Scerbanenco, Gadda o putacaso Diabolik. In particolare, occorre non confondere, neppure per un attimo, le patologie cognitive e umane che rendono così geniali le figure dei detective storici (dal Dupin di Edgar Allan Poe al Marlowe di Raymond Chandler: ma risalendo sino a Edipo, se si vuole) con le più quiete anamnesi della maggior parte dei loro odierni epigoni. Perché poi alla fine la posta in gioco, nel poliziesco, è proprio il sapere: la distribuzione del sapere fra i personaggi (e quella fra autore e lettore). Nel tempo della narrazione, l'autore somministra pezzi di verità, a rilascio lento: basta un errore nel dosaggio e, come nella Promessa di Friedrich Dürrenmatt, l'incastro non riesce, la verità diventa inconoscibile, la promessa al lettore (ti darò la verità alla fine di un percorso iniziatico, divertente e sorprendente) finisce nel nulla. E infatti a questo suo capolavoro Dürrenmatt aveva aggiunto un sottotitolo: «Un requiem per il romanzo giallo». La storia, però, tanto va avanti quanto torna indietro. Così se all'epistemologia dürrenmattiana si possono affiancare i gialli "metafisici", le detection postmodern, ironie e meta-indagini di ogni sorta (da Jorge Luis Borges a Vladimir Nabokov, a Don De Lillo, a Thomas Pynchon), da un certo punto in poi si è fatto sempre più ostinatamente finta di nulla: sino a rendere lo schema classico (e positivista) delitto-indagine-scioglimento una sorta di format passe-partout. Qui si incomincia a pensare che la forma del giallo diventa sostanza, interpretazione della realtà. Eppure Bertolt Brecht, che era Brecht, lo aveva già detto negli anni Trenta: «Il romanzo poliziesco, come i cruciverba, ha uno schema e rivela la sua forza nella variazione»; e Wystan H. Auden confessava: «Per me, e così per molti altri, la lettura dei gialli è un vizio come il tabacco e l' alcool». Sintomi: l'intensità del desiderio, la sua specificità («Il racconto deve rispettare determinate regole»), la sua fugacita. Infatti: «Dimentico il libro non appena giunto alla fine, né provo il desiderio di rileggerlo». La morbosità accomuna sia la confessione di Auden sia la stroncatura della moda delle detective story da parte di Edmund Wilson: «Gli appassionati fanno un continuo parlare di gialli "scritti bene": è semplicemente un alibi per il loro vizio, come lo sono le ragioni che un alcolista può sempre trovare per una bevuta».
Un senso di colpa originario porta il lettore a contatto con i racconti di delitti: si sente partecipe del clima di sospetto, e lo scioglimento della trama lo soddisfa anche perché gli conferma la sua innocenza. La chiave di lettura della realtà diventa, dunque, il senso di colpa? Il caso italiano poi è speciale, a causa della tara nazionale: i conti mai fatti con il passato; mai fatti perché abbozzati e lasciati lì mille volte. Nel colpevolissimo indugio della politica, i fantasmi insepolti del Grande Vecchio, del Burattinaio, del Collezionista di Automi non fanno ormai strisciare più le loro catene solo nelle segrete della Giustizia o in quelle della Storia, ma anche nei meno venerandi castelletti della Narrativa. Quelle Entità avvertite medianicamente dal dietrologo trovano la loro dimensione mediatica nella fantasia di un narratore, che "sa" poiché, pasolinianamente, "sa". Ma quel che si può viene a sapere dal giallo lo si sapeva già, e da tempo: ce lo insegna proprio, con tutte le sue repliche, la Signora in Giallo. Il vero problema è tutto ciò che da sempre e per sempre, nel giallo, si ignora." (da Stefano Bartezzaghi, Il mondo è un giallo, "La Repubblica", 26/06/'10)

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