sabato 12 giugno 2010

Gli scrittori inutili


"La società letteraria vista da Ermanno Cavazzoni è un inferno giocoso e surreale affollato di scrittori superbamente accidiosi, nevrotici, inconcludenti e narcisi. Tutti iscritti di diritto alla confraternita che fa rima con massoni, riconoscibili dall'ego gonfio come un soufflé. Scrittori inutili, come sintetizza il titolo dei suoi quarantanove racconti lunarmente dispettosi, ora riproposti in una nuova edizione da Guanda. Ci sono scrittori schiavi di altri scrittori, costretti a vivere nel sottoscala. Scrittori morti ancora prima di nascere. Scrittori che rinunciano al nome, alla faccia, perfino alla propria voce, per essere più spendibili sul mercato dei libri. Scrittori che prediligono la compagnia di bambole gonfiabili, confortati dal loro silenzio. E talvolta la compagnia di colleghi di gomma, anch'essi gonfiabili: il loro sguardo perennemente stupefatto sul mondo può conferire alla conversazione un inimitabile calore intellettuale. Cavazzoni, chi aveva in mente? 'Niente altro che me stesso', replica l'autore, sapiente navigatore nel mare del grottesco e del paradosso, artefice di mattoidi e irregolari molto amati da Fellini (dal suo Poema dei lunatici fu tratto La voce della luna), nato sessantatré anni fa nella Pianura padana - Reggio Emilia - che tanta parte ha nella sua ispirazione.
Vuol dire che Scrittori inutili può essere letto come un'autobiografia? «Un'autoflagellazione. Una rassegna di stati d'animo che ogni scrittore decente prova quando cade nel dubbio di se stesso. Ma a cosa servo? Il timore è quello dell'inutilità».
I suoi personaggi però non sembrano lacerati da questo dubbio. A loro basta essere scrittori, o almeno crederlo. Non parlano mai dei loro romanzi. «Per qualcuno basta lo statuto di scrittore, una sorta di titolo accademico. È come se i santi dicessero: noi che siamo santi ...».
Alcuni nomi sono riconoscibili. Lo scrittore dalle "sopracciglia farraginose", la sua concubina e l'allievo bennato ... «Sì, Alberto Moravia con la sua giovane moglie inconcludentee il suo seguace Elkann, peraltro persona squisita: quando nelle sue quarte di copertina leggo che vive tra Roma e New York, mi domando se ci sia un punto nell'Atlantico dove abbia fissa dimora».
Lei descrive una società letteraria che in realtà non esiste più. Scrittori che si incontrano nei caffè, fondano riviste. Tutto questo in fondo è scomparso. «Sì, non esistono più i luoghi, e mi verrebbe da dire "per fortuna". Però esiste una realtà di convegnini, fiere e saloni. Sono stato alla fiera del libro in Messico, poco più di un anno fa: eravamo in tanti, tutti amabili e gentili. Ma quando gli scrittori italiani si trovano in gruppo, mi sembrano un branco di cani che si fiutano il sedere».
Prego? «Massì, stanno lì a studiarsi reciprocamente, a vedere quante copie vende questo o quello. Poi si dispongono seduti gerarchicamente, quello che vende di più ha la più bella fidanzata, quello che vende di meno la più bruttina. Una condizione da branco canino che mi deprime molto».
Ma dei contemporanei non salva nessuno? «Un momento. Io ho una predilezione per Gianni Celati, mi piacciono anche Ugo Cornia e Daniele Benati, tra i poeti ammiro Raffaello Baldini, scomparso qualche anno fa. Ho molto apprezzato i primi romanzi di Michele Mari e Paolo Nori. Per non dire della generazione precedente, scrittori come Paolo Volponi o Giorgio Manganelli. Gli altri faccio più fatica a leggerli».
Del suo bestiario fanno parte anche i critici letterari: lei li descrive come becchini, si interessano allo scrittore possibilmente da morto, "secondo loro uno scrittore suicida fa il suo dovere". Ma forse anche questa è una razza in estinzione. «Sì, la critica coscienziosa oggi è stata soppiantata dai passaggi in Tv: gli editori sono anche più contenti, la televisione fa vendere di più».
A proposito di critica, un recensore ha liquidato il suo come un "libro inutile". «Legittimo. Se uno secerne un libro come una tela di ragno, può sempre incontrare qualcuno che dice: ma quella tela è storta. Gli stroncatori mi hanno sempre fatto impressione perché passsano la vita a leggere delle schifezze. Non è una bella vita».
È sbagliato accostare i suoi racconti al Landolfi del Dialogo dei massimi sistemi? «È un autore che amo moltissimo. Nel film di Fellini a cui ho collaborato, la cattura della lunaè suggerita da un racconto di Landolfi: è sua l' immagine della luna viscidae grassa come una mozzarella».
Ma è vero che lei scrive cominciando la pagina dal basso? 'Un sotterfugio utilissimo. Se uno scrive una frase in alto, con lo spazio bianco sotto, può essere preso da sconforto. Se uno invece comincia dal fondo, lasciando due o tre righe a disposizione, lì esaurisce la cosa che gli è balzata in mente. Ho scoperto che lo faceva anche Robert Walser, quando era in clinica psichiatrica'.
Non è un dettaglio irrilevante. 'Vabbè, è difficile dire cosa sia la pazzia. Walser salvava dal cestino dei fogli stampati, e riempiva i margini bianchi con la sua grafia tremolante. Una mania segreta messa al servizio non del pubblico ma della carta. La scrittura diventa così un'attività monacale, indifferente al successo. Si scrive, in fondo, per giustificarsi dello stare al mondo." (da Simonetta Fiori, Ermanno Cavazzoni, "La Repubblica", 12 /06/'10)

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