sabato 12 giugno 2010

Il continente interiore


"I cinquantadue brevi capitoli o "stazioni di sosta e di lettura" che compongono l' ultimo libro di Carlo Ossola, Il continente interiore (Marsilio), nascono dalla meditazione di uno studioso che chiede «alla memoria sapienziale delle Lettere e delle Scritture» di affinare la nostra vista e il nostro udito e di introdurci a una dimensione "altra" dell'esistenza. Quello che ci propone Ossola è un viaggio di esplorazione all'interno di noi stessi ma lo studioso non nasconde che i sentieri che vi conducono sono molteplici e quanto mai divergenti. La meta stessa, Il continente interiore, si sottrae alle definizioni: potremmo chiamarlo un luogo dell'anima se Sant'Agostino, di cui si avverte così fortemente la presenza in queste pagine, non avesse detto che l'anima non ha luogo. O vedervi semplicemente una metafora della vita spirituale o l'indicazione di uno spazio puramente mentale. Bastano tuttavia poche pagine del libro per rendersi conto che la forza di coinvolgimento di questa lettura non nasce dalla persuasività di un'argomentazione di impianto logico, dipende piuttosto dalla ricchezza delle suggestioni che il suo autore ci regala. Nel solco della tradizione dei moralisti classici che sono al cuore dei suoi studi, Ossola privilegia il pensiero analogico, procede per associazioni mentali, immagini visive, risonanze interiori, si stupisce, si interroga, si indigna e ci sprona a seguire il suo esempio. Prendiamo, a caso, le due pagine dedicate a illustrare la ricchezza semantica di una delle parole chiave del Continente interiore, la "meditazione". Con il metodo che gli è proprio, Ossola inizia la sua perlustrazione cognitiva in medias res, sollecitato da un passo dello Zibaldone, e la persegue di citazione in citazione, di rinvio in rinvio, fino a restituire al termine la complessa e problematica gamma dei suoi significati. Il punto di partenza di questo capitoletto intitolato Medicare-meditare è, in effetti, una osservazione di Leopardi sulla prossimità etimologica delle due parole. «Chi non vede», egli annota il 5 settembre 1823, «che l'esercitare e il meditare una cosa è una continuazione del semplice averne o pigliarne cura?». Ossola fa sua la domanda e la ripropone sul filo delle risposte che ne hanno dato, di volta in volta, Petrarca, Riccardo di San Vittore, Fénelon per mostrare come «questa medicina dell' anima che è la meditazione è stata talvolta congiunta e talvolta disgiunta dalla "contemplazione"». Là dove, partire dal Cantico dei Cantici, il pensiero mistico è incentrato sull'oblio di sé e sull'abbandono a Dio, da Freud a Lacan la moderna psicoanalisi cerca, ad esempio, la guarigione attraverso un dialogo "differito" con il nostro inconscio. L'umanesimo cristiano di Ossola ci suggerisce un'altra strada che non ci renda prigionieri di noi stessi e che non è necessariamente quella della fede. Egli si affida, per questo alla meditazione poetica dei grandi scrittori, a cominciare dai bellissimi versi di S. E. Eliot che dicono: «Gli uomini d'età hanno da essere esploratori / Il luogo e l'ora non importano / Noi dobbiamo muovere senza fine / Verso un'altra intensità / Per un' unione più completa, una comunione più profonda / (...) Nella mia fine è il mio principio»." (da Benedetta Craveri, La lunga strada per scoprire la vita interiore, "La Repubblica", 12/06/'10)

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