sabato 5 giugno 2010

Il romanzo e la realtà


"Il romanzo e la realtà (Bompiani) è l'autobiografia di uno dei Grandi Lettori del secondo Novecento. La «cronaca» del sottotitolo fa scintille con lo sviluppo del tempo cui si riferisce: al fine, s'intende, di evitare lo spauracchio della Storia (della quale negli Anni Settanta diceva Guglielmi tutto il male possibile). Ma in realtà una scansione narrativa, quindi storica, c'è eccome: da una fase 1955-1970 sotto il segno della «rivolta», a una 1970-1980 all'insegna del «risparmio», sino alla più recente, che sarebbe contrassegnata dalla «parola ritrovata».
Due libri in uno, dunque. Il primo sceglie il meglio di un percorso del quale, molto semplicemente, dirò che è stato tra i punti fermi della mia formazione. Guglielmi ha saputo cogliere i fermenti più innovativi della cultura degli Anni Cinquanta e Sessanta, e sintetizzarli nel linguaggio dei mass media: più d'ogni altro contribuendo a dar forma, così, a un senso comune che per la cultura di oggi suona, invece, pura eresia.
Fondamenti ribaditi anche in sede consuntiva: non ha senso «il ron ron del ritorno alla realtà» perché «il reale (la realtà) è stata sempre in campo, come obiettivo obbligato (e agognato) dello scrittore». La realtà della letteratura si trova però «nelle parole»: essa infatti non è repertorio di dati noti tradotto in forme codificate, ma «nuova realtà ancora da conoscere e che esige forme nuove» (citando Nathalie Sarraute).
Così Guglielmi ci ha insegnato a leggere come scrittori della «realtà» il Balestrini di Tristano, il Malerba del Serpente, Pizzuto, Celati, persino il Manganelli di Hilarotragoedia. E, in sommo grado, il Gadda del Pasticciaccio: a proposito del quale, a caldo, parlava di «realtà non ideologizzate» e di una «alienazione della realtà dalla sua storicità». (E non è un caso che aggiunga oggi il Landolfi di un titolo-paradigma come Se non la realtà).
A far problema, per me, è il secondo libro. Quello che definisce (con attributo-clic indigeribile, pare a me, a qualsiasi lettore di Manganelli o di Landolfi) «poderoso» Come dio comanda di Ammaniti o Romanzo criminale di De Cataldo; o che mostra «quasi entusiasmo» per Vita di Melania Mazzucco.
Perfetti esempi contemporanei, cioè, di quel «libro di successo» del quale nel ’74 diceva Guglielmi che «acquieta le coscienze infelici come la caramella il dolore di un bambino» e così «ci autorizza [...] a commettere le più atroci bassezze intellettuali» (con un determinismo al quale, nella circostanza, proprio Manganelli opponeva le contraddizioni di quell’«oscuro garbuglio» che è la letteratura).
Si badi, Guglielmi è rimasto se stesso: infatti sa dare la migliore definizione di Gomorra («un grande racconto visionario», che «si fa credibile solo sfidando l'incredibilità»); così come sa fare a pezzi, in quattro lucidissime battute, la stucchevole voga odierna del noir.
Il fatto è che, a un certo momento degli Anni Ottanta, s'è convinto che - a fronte della derealizzazione del presente operata dai media - un’autenticità possa essere cercata, dalla letteratura, solo nel passato: nella biografia e nell’autobiografia se non, addirittura, proprio nella Storia. Dice per esempio che, se si possono avere dubbi sul ruolo della famiglia Kennedy nella politica del Novecento, «sfugge a ogni dubbio [...] l'uccisione dei due fratelli John e Robert».
Ma se qualcosa ci ha insegnato la letteratura degli ultimi trent’anni - per restare all’esempio basti pensare a Libra di Don DeLillo - è che anche il passato più documentato mostra, allo sguardo di oggi, un senso infinitamente sfuggente: falsificabile, in potenza, tanto quanto il presente.
Mi sono sforzato di cercare una spiegazione sensata (o almeno narrativamente proponibile) all’apparente inversione di rotta di Guglielmi. E allora ho pensato che un narratore capace di fare una narrazione autentica (o almeno narrativamente verosimile) della «realtà non ideologizzata» di tutti i singoli momenti di presente vissuti nel passato, più che leggerlo, Guglielmi abbia deciso di incarnarlo. E ovviamente è questo che leggiamo, Il romanzo e la realtà, il suo romanzo." (da Andrea Cortellessa, La realtà dov'è se non nelle parole?, "TuttoLibri", "La Stampa", 05/06/'10))

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