martedì 22 giugno 2010

Segnali di cultura che resiste


"C'è qualcosa che può contraddire l'impressione (largamente diffusa, largamente motivata) di un Paese che sta smobilitando la propria tradizione artistica e il proprio futuro culturale? Forse sì, e senza bisogno di farsi abbagliare dal Macro o Maxxi, ammirevoli residui di vecchie e benemerite politiche culturali più che segno di reale novità. Le novità stanno forse altrove.
Un comitato dal nome che - ammettiamolo - più attraente non si può (il 'Comitato per la bellezza' presieduto da Vittorio Emiliani) ha messo in relazione due dati singolari: i 3 milioni 229mila spettatori che in tv hanno seguito il maestro Daniel Barenboim parlare e suonare Chopin da Fabio Fazio (uno share per una volta benedetto: 15.5%, parecchio per RaiTre) e la cifra quasi uguale (un po' meno per la verità: 2.978.000) che dichiara di seguire l'offerta musicale e culturale proposta ogni giorno da Radio3, con un balzo impressionante rispetto al passato. (Per chiarire: derivando da nuove tecniche di rilevazione, il dato non è confrontabile con quelli trascorsi - altrimenti dovremmo brindare a un clamoroso 60% in più! - ma probabilmente registra meglio del passato la reale consistenza di un pubblico finora sottovalutato). A questi dati potremmo aggiungerne un altro: gli 85mila telespettatori che sul canale digitale di Rai Storia hanno seguito la diretta del concerto del 2 giugno con l'Orchestra sinfonica Rai da piazza s. Carlo: più del doppio della media di ascolto del canale nel mese di maggio. Di colpo, il 100% in più.
E sto parlando di qualcosa, come i mezzi di comunicazione di massa, dove la qualità culturale sembrava destinata a sparire, o a vivacchiare confinata in riserve d'élite. Altrove fenomeni di interesse e passione simili sono consolidati da tempo, come sa chi segue festival e rassegne culturali dal vivo. Ne derivano almeno un paio di considerazioni. La prima è che stavolta le nuove tecnologie di comunicazione non sono destinate generare omologazione in basso ma possono favorire favorire la ricerca della qualità. Persino in tv, dove la moltiplicazione dell'offerta digitale potrebbe aiutare a curare l'ossessione generalista e i suoi esiti involgariti. Ma l'importante è che questo permetta di portare a galla la realtà nascosta della nostra società ormai frammentata in gusti, consumi, pratiche diverse. Tutti di minoranza, per così dire. Finora la grande minoranza televisiva ha schiacciato le altre, generando una sorta di illusione ottica che è il momento di sfatare, o almeno di sfidare. In una situazione difficile: la crisi non fa che aggravare un ritardo storico ma soprattutto sembra alimentare un'antica diffidenza anticulturale. Non si spiega altrimenti la tentazione ricorrente di tagliare dove c'è poco da tagliare e risparmiare dove i risparmi sono quasi irrilevanti. Ma da questo punto di vista più dei 232 enti più o meno nobili o inutili, preoccupa quelllo che accade nelle scuole, nelle biblioteche, soprattutto nelle famiglie: come forse è noto tra i ventisette Paesi europei siamo al diciannovesimo posto per istruzione pubblica e formazione. Meno noto e più grave un altro dato: siamo al ventiquattresimo posto (precediamo solo Lituania, Bulgaria, Romania) se si considera la spesa in cultura e ricreazione delle famiglie. Un disastro che pregiudica il futuro delle generazioni future più della quota di debito pubblico che incombe su ogni neonato. Specie se prendiamo sul serio le parole di Michelle Obama ricordate sul Sole di domenica 30 maggio da Pier Luigi Sacco: il destino di un Paese 'dipende dal fare in modo che ciascuno abbia accesso alle arti e alle opportunità culturali'. L'alternativa è nitida, ormai, e la sfida è questa. Ma, come dimostrano i dati citati all'inizio, la novità è che si può combattere, con qualche speranza di successo." (da Marino Sinibaldi, Segnali di cultura che resiste, "Il Sole 24 Ore Domenica", 20/06/'10)

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