sabato 31 gennaio 2009

Qui è proibito parlare di Boris Pahor


"Trieste, vigilia della seconda guerra. La città è sotto il tallone del fascismo, che qui mostra il volto peggiore, quello della repressione 'etnica'. Come ai tedeschi nel Sudtirolo, qui viene negata la lingua a sloveni e croati, comunità definite 'allogene', dunque infide. Una giovane slovena, Ema, dolorosamente segnata dagli eventi, incontra un uomo venuto dal mare che si svela della sua stessa cultura, e le apre contemporaneamente le porte dell'amore e della lotta di resistenza. E' la trama, semplice, quasi intimistica del nuovo libro di Boris Pahor tradotto in italiano - Qui è proibito parlare (Fazi) - dopo Necropoli, dedicato alla detenzione dell'autore nei lager tedeschi. Il fuoco dei forni crematori non è che la logica conseguenza di un altro fuoco, quello appiccato dai fascisti già a partire dal 1920 alle istituzioni, ai libri e poi ai villaggi slavi resitenti all'asimilazione forzata. E' importante ricordarlo: le leggi razziali contro gli ebrei, proclamate nel 1938 non a caso a Trieste, non furono - come ebbe a dire Mussolini - 'squallida imitazione' di analoghi provvedimenti nazisti, ma un prodotto tutto italiano, fieramente rivendicato come tale dal regime. Esse ebbero il loro collaudo in questa persecuzione antislava sul confine, che precedette di ben dodici anni la 'Notte dei cristalli' in Germania. [...]" (da Paolo Rumiz, Se la lingua è clandestina, "Almanacco dei libri", "La Repubblica", 31/01/'09

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