sabato 17 gennaio 2009

Italia de profundis di Giuseppe Genna


"Arriverà un futuro di ridistribuzione degli equilibri etici e morali, ci auguriamo. Non si può affondare in eterno proclamando ottimismo. Non si può vivere solo di outlet e veline, calciatori e cinepanettoni, vacanze da sballo e cellulari a orgasmo garantito. Non si può. Almeno è questo, che - flebilmente - speriamo. E in questo futuro - anche questo ci auguriamo - qualcuno si renderà forse conto che l'Italia vera di questi anni l'ha raccontata, la sta raccontando, Giuseppe Genna. In tutta solitudine, se si escludono alcune belle incursioni di Scurati piuttosto che di Montesano, Ammaniti, Moresco e pochi altri. Il masochismo autofagocitante con cui Genna spala letame dall'italica quotidianità, è quasi esemplare. Vittima e artefice dei suoi furori assoluti, questo scrittore unico, assordante, narcisista e autolesionista, va delineando con sapiente confusione il ritratto di un Paese in disarmo, regredito ai riti tribali di una sopravvivenza all'insegna di un fittizio tutto-compreso, dove l'illusione di essere calati in un perenne divertimentificio non lascia più spazio ai pensieri concreti del malessere e del disagio. Basta non pensarci, sostiene chi ci governa. Giuseppe Genna dà il meglio di sé quando affonda il bisturi nei mali incurabili del Belpaese. Libri come Nel nome di Ishmael e Dies Irae, che avrebbero dovuto caratterizzare stagioni letterarie, sono stati liquidati come un thriller fantapolitico e una deprimente analisi autocelebrativa. In classifica, intanto, svettavano i lucchetti. Così ci pare necessario, quasi urgente, segnalare questo Italia De Profundis (Minimum Fax) che si riallaccia, con marcata autointrospezione, al discorso fluviale del nostro più impietoso narratore-anatomopatologo. L'autore è Giuseppe Genna, il protagonista è Giuseppe Genna, un uomo - uno scrittore, un numero, un'entità - che calpesta l'italico suolo domandandosi - ma forse nemmeno, forse è solo fangosa constatazione - dove siamo arrivati nella nostra corsa verso il nulla. La follia collettiva nasce in anni non remoti e dilaga, ci soffoca, deride le velleità dei pochi nostalgici della vita semplice e di termini obsoleti come onestà e fiducia. Dall'introspezione privata - la drammatica morte del padre, l'iniziazione tardiva all'eroina - al delirio finale di una vacanza d'agosto in un villaggio turistico di Cefalù, il romanzo - se è lecito definirlo tale - raccoglie in sé i germi di una devastazione collettiva al momento insanabile. Il tumore che ha consumato il padre del narratore si è esteso all'intero paese, ma l'atmosfera che regna è quella di un'isteria contagiosa che mette a tacere la realtà, il tempo che passa e soprattutto il tempo che resta. Chi siamo, dove andiamo. Non importa più a nessuno, ci sarà sempre qualche villaggio vacanze da sballo dove imitatori di mezza tacca imitano l'umanità sbracata che imita se stessa. Una perversione degenerativa e contagiosa, in cui solo chi ha soldi e potere ha il diritto di esistere. Giuseppe Genna recita un convinto e convincente De Profundis battendo tutte le tappe di un calvario tanto assurdo da risultare quasi un antidoto al dolore di perdersi. L'inquietudine dell'uomo moraviano o pasoliniano è diventata feroce dis-appartenenza a un Paese che implode nei suoi vizi eterni, suffragato da uno tsunami mediatico in grado di annichilire i residui barlumi di coscienza. Mentre qualcuno, da lassù, sogghigna. Per questo ci auguriamo che qualcosa cambi, ma come chiedendo un miracolo tra la folla di Lourdes. Perché non accada che, tra le rovine fumanti di questa italica spazzatura, rimanga un solo lettore, nel lecito silenzio di ogni dopo-catastrofe, a sfogliare queste pagine, come il profetico, inascoltato memoir di un tempo che fu." (da Sergio Pent, De Profundis per il Bel Paese, "TuttoLibri", "La Stampa", 17/01/'09)

Nessun commento: