lunedì 26 gennaio 2009

Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento di Anna Foa


"Tre sono le 'generazioni' narrative nella letteratura della Shoah, spiega David Bidussa in Dopo l’ultimo testimone (Einaudi). La prima è quella della scrittura intesa come pura testimonianza: affidare alla pagina 'per non dimenticare'. Vi è poi la memoria di riflessione, che si tormenta intorno alla domanda 'Come è stato possibile Auschwitz?'. La terza prova di scrittura è anch'essa una ineludibile, eppure cieca interrogazione: si può 'uscire da Auschwitz?'. Sul filo di queste distinzioni, Bidussa affida al lettore un bilancio - certo provvisorio ma non per questo meno significativo - di quanto è stato scritto e di che cosa ancora resta da dire intorno alla Shoah. Nella filigrana di questa riflessione critica si legge l'ingiunzione di Elie Wiesel: 'Voi volete capire? Non c'è più nulla da capire. Voi volete sapere? Non c'è più nulla da sapere. Non è giocando con le parole e con i morti che potrete capire e sapere'. E' davvero possibile Ripensare l’Olocausto, come dice il titolo del saggio di Yehuda Bauer (Baldini Castoldi Dalai)? Lo storico israeliano offre qui una rassegna analitica di studi, ricerche e metodologie intorno a questo campo della storia. La domanda, però, resta irrisolta. S'infrange contro il muro dell'insensatezza. Come, perché è successo? Quand'anche fossero scoperchiati tutti gli archivi e portata alla luce ogni evidenza documentaria, Auschwitz continuerebbe a restare un mistero. Un tormento dell'umanità. A tale proposito, giustamente Bidussa osserva che il 27 gennaio 'non è il giorno dell'identità ebraica'. Per nulla. 'Il Giorno della memoria riguarda un pezzo della storia culturale dell'Europa'. In un certo senso, il giorno della memoria appartiene più agli altri che agli ebrei. Far propria, interiorizzarla, 'digerire' la memoria, spetta non tanto a chi vi ha messo le vittime, piuttosto al resto del mondo che dentro quella storia è vissuto e che l'ha ricevuta in eredità dal proprio passato. Questo assunto è indirettamente dimostrato da un libro importante, per metodo e contenuti. S'intitola Diaspora, è una Storia degli ebrei nel Novecento, l'ha scritto Anna Foa per Laterza. Si tratta innanzitutto di un appassionante excursus che parte dall'ultimo ventennio del XIX secolo e accompagna l'esperienza ebraica fino ai tempi più recenti. Malgrado le impervietà di una storia sparsa ai quattro angoli del mondo, che sfugge a ogni possibile canone interpretativo nel suo altalenare fra integrazione e isolamento, il libro ha un andamento straordinariamente coerente. Non si perde mai il filo di questa storia, anche quando essa spazia con velocità fulminea dallo shtetl russo alla fattoria in Palestina, da Freud a rav Kook. Addentrandosi nelle grandi questioni ebraiche del Novecento, il lettore coglie attraverso l'indagine storica il capovolgimento di senso che la parola 'diaspora' subisce. Anche se si è scordato di leggere l'introduzione in cui Foa ben chiarisce tale processo: 'Ciò che cambia, in realtà, non è la valenza simbolica in sé, che ha sempre gravato sugli ebrei dalla nascita del cristianesimo in poi, ma il fatto che essa sia ora divenuta un'espressione autonoma del mondo ebraico, una forma di autorappresentazione in positivo ...'. Il mondo ebraico del ‘900, tanto in diaspora quanto al suo ritorno in terra d'Israele, è caratterizzato da una straordinaria 'creatività e attività'. L'incontro con l'emancipazione, il confronto finalmente libero e aperto con il mondo 'altro', innesca per il popolo ebraico una straordinaria stagione di fertilità storica e intellettuale. Insieme alla propria valenza simbolica, i figli d'Israele prendono in mano il proprio destino, rimasto per millenni ostaggio della storia altrui. Questa è la grande rivoluzione dell'esperienza ebraica nel ‘900, che passa per la psicoanalisi e il sionismo, la filosofia e la musica: la parola 'modernità' assume qui una pregnanza davvero particolare. Che ingigantisce anche, però, la sostanza del paradosso: accanto a questa accezione ebraica della modernità, così densa e multiforme, si staglia infatti il progetto del 'più radicale degli annullamenti'. Quando il popolo ebraico diventa padrone del proprio destino e capovolge la maledizione della diaspora trasformandola in qualche cosa di radicalmente diverso, lo sterminio nazista prova a cancellare, e molto distrugge. L'analisi di Anna Foa aiuta a dipanarsi in questo dilemma. Dimostra lucidamente quanto la Shoah, che pure tutto travolge, sia qualcosa di 'alieno' all'esperienza ebraica, a quella sua ricchezza e complessità di cui il ‘900 è testimone non meno che dell'orrore" (da Elena Loewenthal, Auschwitz è il tormento di tutti, "TuttoLibri", "La Stampa", 24/01/'09)

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