sabato 17 gennaio 2009

Le due ragazze con gli occhi verdi di Giorgio Montefoschi

Vento di Roma (G. Montefoschi)
Era tramontana. Non troppo forte: la prima
d’autunno.
Durò, come sempre a Roma, tre giorni. Il
primo, servì a ripulire completamente il
cielo: dal Monte Sorate alle spiagge
deserte di Fregene e di Ostia; dai Colli
Albani agli archi bruni dell’antico
acquedotto che, insieme ai filari dei pini, attraversa la
campagna verso sud. Il secondo, obbligò i condomini
di via Adeliade Ristori - i Sarti e gli Angeli - ad
accendere il riscaldamento un’ora prima al mattino e
a prolungarlo la sera fino alle otto. Il terzo, illuse gli
amanti dell’inverno. Poi, il vento a poco a poco calò,
scomparve; una leggera nuvolaglia venne dal mare e,
cominciando dai quartieri periferici della Garbatella,
della Magliana e dell’Eur, velò l’azzurro; nessuno
pensò più di usare il cappotto.
Solo Giulia continuava ad aver freddo, benché l’orario
del riscaldamento, in accordo col piano di sopra, fosse
rimasto quello della tramontana.


"Leggendo Le due ragazze con gli occhi verdi di Giorgio Montefoschi sei preso, più ancora che altre volte, da un effetto di spiazzamento. I casi di una facoltosa famiglia borghese, sul consueto sfondo di Roma, ci vengono raccontati con una minuta attenzione a particolari che si direbbero insignificanti, dall’arredo domestico al cibo portato in tavola, agli abiti indossati e dismessi, fino alle ore puntualmente scandite dall’orologio e alla mappa di una città disegnata con l’affollamento indistinto di uno stradario. Insieme al passaggio delle stagioni che, oltre a sommuovere liricamente la scrittura di Montefoschi, adempiono tuttavia alla funzione di collante e trovano una simpatetica corrispondenza con i personaggi. Per il resto, stupiscono il ritegno e l’elusività nell’espressione dei sentimenti e soprattutto l’assenza di ogni riferimento a ciò che accade nel mondo, sia cronaca o storia, in un arco di tempo non indifferente che va dal 1956 al l998. Ne deriva, al di là delle molte aperture sul mare che si affaccia sulla pianura pontina o sulle montagne dell’Alto Adige, un senso di soffocamento. Non ne appare consapevole il protagonista Pietro Guidi, che dalla prima giovinezza alla maturità si direbbe dedito al suo contrastato amore per Laura, la vera 'ragazza dagli occhi verdi', non destituita da occasionali controfigure. E’ una passione totalizzante, in cui l’accesa, tormentosa sensualità sembra contendere con il presagio di una lontananza che, provocata in realtà dal matrimonio di Laura, troverà un esito estremo nella sua morte. Come spesso succede nei romanzi di Montefoschi, affiorano a tratti indizi di una storia che potrebbe essere diversa e che insinuano in una vicenda segnata da neghittosità e torpore morale, il senso di un diverso atteggiamento verso la vita. Mi sembra già di avvertirlo nella lezione impartita dal nonno a Pietro adolescente (un rapporto tra il vecchio e il ragazzo che detta a Montefoschi le pagine più commosse e riuscite). Quando nonno Giulio gli legge l’Odissea, e alla sua domanda risponde che Ulisse ama, più della seduttiva Calipso, la moglie Penelope. Più avanti nel tempo, Pietro, che è diventato sceneggiatore di cinema e tv, scopre nelle pagine di Kipling, nel legame tra Kim e il monaco indiano una storia che lo riguarda. 'Ricordati - dice il vecchio al momento della separazione - che ogni Desiderio è Illusione, ed è un nuovo legame con la Ruota. Ora varca i Cancelli del Sapere'. E’ la volta poi di un 'trattamento' di Lolita, che induce Pietro a riflettere sull’amore deluso che l’eroe di Nabokov ha provato in prima istanza per Annabel: 'Se il vero amore è quello non consumato e perduto per sempre e Lolita è soltanto una pallida incarnazione, un riflesso di questo amore, possiamo arrischiarci a dire che Lolita è un romanzo platonico, dunque per nulla scandaloso?'. Questi affioramenti 'virtuosi' mettiamoli insieme alla decisione ultima di Laura, al suo sofferto commiato da Pietro: 'Un donna sposata con due figli e un marito che le vuole bene non può e non deve comportarsi come mi sono comportata io. La felicità non conta: non è obbligatorio essere felici sempre'. Sono parole che sembrano andare incontro al disagio manifestato cripticamente da Pietro, chiamandolo a temperare una esaltazione amorosa che si risolve in possessivo egoismo. Se è giusta la mia lettura del romanzo, Montefoschi si ingegna di conferire spessore a quello che resta tuttavia un fragile, epidermico eroe. Senza osare, forse per una inconsapevole complicità, un più limpido affondo stilistico e morale." (da Lorenzo Mondo, Com'è fragile l'amore borghese, "TuttoLibri", "La Stampa", 17/01/'09)

1 commento:

Anonimo ha detto...

non sono d'accordo, il romanzo è bello, narrato con finezza e amore
leletturedidonchisciotte.blogger.com