venerdì 16 gennaio 2009

L'uomo artigiano di Richard Sennett


"Faussone, operaio specializzato, monta gru in giro per il mondo. È un personaggio di fantasia, protagonista del celebre racconto di Primo Levi, La chiave a stella, ma è anche un personaggio realmente esistito, almeno nel 1978, quando il libro uscì. Levi, chimico, ex direttore di una fabbrica di vernici, aveva scritto una lode al lavoro ben fatto: 'L’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità in terra'. Subito dopo la pubblicazione del volume il quotidiano Lotta continua ricevette molte lettere di dissenso: com'era possibile che l’autore di Se questo è un uomo potesse fare una simile affermazione? Dominava allora l’operaio-massa, privo di qualifiche specifiche, asservito alla catena di montaggio, come il protagonista della Classe operaia va in paradiso interpretato da Gian Maria Volontè. Negli Anni Settanta il lavoro alienato era quello manuale, quello non alienato corrispondeva al lavoro intellettuale svolto, ad esempio, in ufficio o nella scuola. Ora le cose sembrano rovesciate, o almeno così appare nelle parole pronunciate dal ministro Brunetta e riportate dai quotidiani qualche giorno fa: 'il tornitore della Ferrari ha il sorriso e la dignità di dire al figlio il lavoro che fa, l'impiegato al catasto o il professore no'. Il lavoro che una volta si sarebbe definito 'di concetto' è diventato qualcosa di cui vergognarsi, mentre il lavoro manuale, soprattutto se eseguito in uno dei templi della meccanica, è invece motivo d'orgoglio?
Davvero le cose stanno così? Richard Sennett, uno dei maggiori sociologi viventi, pubblica ora un libro quanto mai attuale: L’uomo artigiano (Feltrinelli), una riflessione sul buon lavoro oggi, fatto con arte, sapienza manuale e intelligenza. Il suo punto di partenza è la distinzione tra l’animal laborans e l’homo faber, introdotta dalla sua maestra, la filosofa Hannah Arendt. Il primo è l’essere umano simile a una bestia da soma, la persona che fatica, condannata alla routine; il secondo è la figura dell’uomo e della donna che fanno un altro genere di lavoro: l’artefice, il creatore. Sennett pensa che questa distinzione sia sbagliata in quanto l’animale umano è un animal laborans capace di pensiero, indipendentemente dal fatto che svolga un lavoro manuale o intellettuale. Per il sociologo americano nel fare sono contenuti pensiero e sentimento; l’artigiano non è tanto il falegname, il liutaio, il fabbro, oppure il progettista di programmi informatici, quanto chi mette un impegno personale nelle cose che fa. L’abilità tecnica, scrive, è stata scissa dall’immaginazione e l’orgoglio per il proprio lavoro trattato come un lusso. In perfetto accordo con Levi - mai citato nel libro -, descrive l’artigiano come colui che è ancorato alla realtà tangibile e prova soddisfazione per il lavoro svolto, così che la ricompensa emotiva appare la molla per raggiungere l’abilità necessaria in ogni tipo di lavoro. Se il termine «maestria» sembra rimandare ai maestri artigiani del Medioevo e del Rinascimento, una realtà tramontata dopo l'avvento della società industriale, Sennett propone una nuova definizione del termine: maestria è 'il desiderio di svolgere bene il lavoro per se stesso'. Questo tipo d'attività riguarda sia il medico come il meccanico, l’informatico come l’artista, ma anche quella di genitori. Spesso, scrive, le condizioni sociali ed economiche ostacolano la disciplina e l’impegno del bravo artigiano; la scuola a volte non riesce a fornire gli strumenti necessari e i luoghi di lavoro non valorizzano come dovrebbero l'aspirazione alla qualità. Inoltre, vengono proposti criteri oggettivi di eccellenza in conflitto tra loro: 'Il desiderio di svolgere bene un compito, per il piacere che questo comporta, può essere ostacolato dalla pressione alla competitività, dalla frustrazione e dall’ossessività'. Sennett fa un esempio interessante: il National Health Service, il Servizio sanitario nazionale inglese. Negli ultimi anni i suoi dirigenti hanno usato nuovi criteri per valutare come il personale medico e paramedico svolge il proprio lavoro: quanti pazienti vengono assistiti, in quanto tempo i pazienti hanno accesso alle cure, e con quanta tempestività sono prescritte le visite specialistiche. Si tratta di misure quantitative del corretto modo per fornire assistenza sanitaria, per quanto il loro scopo rimanga quello di servire in modo più umano i pazienti. Studi condotti in Europa occidentale confermano la convinzione che le abilità professionali di questi operatori - artigiani della sanità -, nel trattare i pazienti, vengano frustrate dalla pressione ad adeguarsi a parametri istituzionali. Sennett sostiene che per fare un buon lavoro bisogna 'avere curiosità per ciò che è ambiguo': imparare dall’ambiguità. L’infermiere ad esempio - ma anche i programmers di Linux, aggiunge - si muove in una zona di confine tra risoluzione e individuazione dei problemi, ragion per cui, prestando ascolto alle chiacchiere di un vecchietto, l’infermiere può cogliere qua e là indizi utili sulla sua malattia che potrebbero non essere previsti in una check list diagnostica. Nel lavoro artigianale, scrive il sociologo, la motivazione conta più del talento, e la sua riuscita dipende dalla capacità di organizzare l’ossessività. Tutte le abilità, anche quelle più astratte, nascono come pratiche corporee, mentre l’intelligenza tecnica si sviluppa attraverso l’immaginazione. Oggi ben poche istituzioni si pongono come fine quello di produrre lavoratori felici. La felicità è stata spostata nella sfera del consumo. Inoltre, la new economy ha distrutto le forme tradizionali di ricompensa, dalla gratificazione psicologica a quella economica. La ricchezza destinata ai dipendenti di livello intermedio è rimasta stagnante nell’ultima generazione, mentre quella di coloro che stanno ai vertici è salita alle stelle. Nel 1974 in un’azienda americana un dirigente guadagnava trenta volte in più del lavoratore medio, oggi quattrocento volte di più. Può continuare la quantità ad essere il sistema di valutazione della qualità? E lo stipendio del professore della scuola media di Usmate più basso di quello del tornitore di Maranello?" (da Marco Belpoliti, Un saggio del sociologo Sennett riabilita la figura dell’artigiano, "La Stampa", 15/01/'09)

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