giovedì 27 marzo 2008

Sempre meglio che lavorare di Michele Brambilla


"Liberi o asserviti? Servitori della verità o cinici arrivisti? Casta di intoccabili o peones delle redazioni? Inviati speciali o invidiati speciali? Si parla dei giornalisti, così come li dipingono due libri scritti da due di loro (entrambi milanesi), che hanno molti punti in comune: Casta stampata (Mursia) di Luigi Bacialli, caporedattore di Montanelli al "Giornale" e alla "Voce", direttore del "Gazzettino di Venezia" fra 2001 e 2005, e Sempre meglio che lavorare (Piemme) di Michele Brambilla, al "Corriere della Sera" per diciotto anni, quindi vicedirettore prima di "Libero" e poi del "Giornale". Non si tratta di due saggi bensì di due testi di riflessioni e rievocazioni, di echi e punzecchiature, di aneddoti e ritratti, in cui il mondo dei giornali è un po' messo alla berlina, anche perché sia Bacialli sia Brambilla mettono in campo una certa propensione al gioco satirico o al bozzetto umoristico. Quindi libri di gradevole lettura, in brevi capitoli, che però non nascondono di voler smascherare, dietro il tono leggero, gli aspetti meno nobili della professione giornalistica. Il titolo di Brambilla è tratto da una nota battuta la cui paternità è divisa fra Leo Longanesi, il grande scettico che inventò il rotocalco, e Luigi Barzini jr.,firma del "Corriere della Sera". E l'autore si diverte a mostrare perché fare il giornalista sia sempre meglio che lavorare: ecco il Grande Inviato all'opera, che parte con tutto comodo, vuole macchina con autista, esige mille euro ('per mance agli informatori'), si fa dare le notizie dai cronisti locali, mentre il povero (ipotetico) Balestrazzi, corrispondente di provincia pagato a pezzo, scarpina per lui, è il vero reporter ma nessuno lo considera. Oppure, su un altro fronte, non c'è redazione senza 'il mobbizzato': soggetto singolarmente perseguitato dalla sfortuna, che ha inanellato almeno otto direttori prevenuti contro di lui, nessuno gli ha mai permesso di esprimersi, è un genio incompreso trasformatosi in specialista della pausa-caffè, perciò fa causa al giornale. Il taglio di Bacialli è un po' più didattico e moralistico, nel senso di far toccare con mano al lettore i vizi dei giornalisti italiani, a partire dall'ipocrisia con cui si denunciano privilegi e sprechi degli uomini politici senza guardare a cosa accade in casa propria: per esempio si invoca un minor numero di parlamentari, ministri e amministratori pubblici, ma gli organismi di rappresentanza della categoria hanno dimensioni sproporzionate (il Consiglio nazionale dell'Ordine è composto di 139 giornalisti). Poi ci sono inviati a viaggi in tutto il mondo, basta fare un articoletto al ritorno; ci sono le sponsorizzazioni di natura politica, alla Rai e altrove, per cui sembra che non esista giornalista che non sia in quota a qualche partito; e c'è la corsa a premi e premietti, per cui autorevoli firme chiedono di scrivere pezzi su formaggi, carciofi, località turistiche, e su un serio quotidiano si legge il titolo a cinque colonne 'Cotechino che passione'. In realtà l'amore per il mestiere fa scrivere a Brambilla anche pagine dove racconta in fulminei ritratti personaggi come Montanelli e Biagi, Buzzati e Fallaci, o tira fuori dall'oblio un Giovannino Guareschi 'schiena dritta'. Lo stesso capita a Bacialli, che fra un ricordo di Indro e una evocazione della Voce, fra analisi della crisi della carta stampata e scandali e scandaletti che invischiano i giornalisti, tratteggia una linea di paziente fedeltà al mestiere di direttore." (da Alberto Papuzzi, Meglio le penne pulite, "TuttoLibri", "La Stampa", 22/03/'08)

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