lunedì 17 marzo 2008

Atlante americano di Giuseppe Antonio Borgese


"Non saremmo in tanti a pensarlo. Ma Rubè (1921) di Giuseppe Antonio Borgese è, sull'Italia e sugli intellettuali italiani, un libro troppo importante: come minimo un capitolo d'autobiografia della nazione, a precorrere, però, il romanzo europeo d'impianto analitico ed esistenziale. Dalla manica del cappotto del protagonista eponimo sarebbero usciti, di lì a poco, Gli indifferenti di Moravia e molti personaggi d'un assai ammirativo Brancati. Il futuro di Piovene, che gli fu anche allievo all'università (dove insegnò letteratura tedesca ed estetica), e di Soldati, come scrittori, non sarebbe stato lo stesso, d'altra parte, senza il lucido avallo di Borgese, il quale fu, nei primi trent'anni del secolo, il più grande dei critici militanti italiani: come del resto testimoniano, ad abbondanza, i tre volumi de La vita e il libro (1910-13). Ma se, oggi, fossi richiesto di suggerire a un giovane lettore qualche aspetto della sua vastissima opera, non avrei dubbi a segnalare il Borgese saggista: quello, magari, che piacque molto a Salvemini, di Golia marcia del fascismo (1937), o forse l'altro, in singolare e chissà quanto consapevole sintonia con i più grandi intellettuali della diaspora in America (come Leo Strauss, per esempio), di Idea della Russia (1951): là dove il conflitto tra capitalismo e comunismo, sulla scorta di Eschilo, Erodoto o Aristotele, viene letto, assai suggestivamente e ben oltre la contingenza della polemica ideologica, nell'ambito del millenario scontro tra principio greco di libertà e principio persiano d'autorità. Dovrebbero essere, questi, meriti irrefutabili. Ma non evitarono a Borgese - poi esule negli Stati Uniti dal 1931 sino al 1948 - uno dei più clamorosi e duraturi processi (una vera e propria lapidazione), cui prese parte, con un'aggressività inaspettata, molta della più blasonata intelligenza italiana, da Serra e Croce a Gobetti e Gramsci, da Bacchelli a Cecchi, da Russo e Sapegno a Binni: e si potrebbe continuare. Sospetto ai liberali per via della scomunica crociana, estraneo ai cattolici, odiato dai fascisti, disprezzato dai comunisti perché mai compagno di strada, Borgese fu amato da appena un manipolo di uomini liberi. Tra questi, oltre che Brancati e Piovene, si contano di sicuro critici grandi come Debenedetti, Battaglia e Baldacci (per citare solo chi non c'è più). E soprattutto, con coraggiosa ostinazione, Sciascia. Ma non è bastato, questo, per promuovere una rinnovata circolazione dei libri di questo imprescindibile del nostro Novecento. Sicché non possiamo che compiacerci di fronte alla ristampa, da parte di Vallecchi, di Atlante americano, la cui curatrice, Ambra Mada, chiarisce finalmente la singolare storia editoriale: allestito per Guanda alla metà degli Anni '30, il volume non venne mai alla luce per la sua 'scorrettezza politica'; pubblicato da Borgese soltanto nel 1946, presso lo stesso editore con data 1936, per onorare il contratto, non ebbe mai, però, una vera circolazione. L'occasione, insomma, non va mancata. Scrive Ambra Meda nell'Introduzione: in Italia, 'sono pochi gli scrittori che riescono a rimanere estranei alla requisitoria antiamericana di Mussolini'. Tra questi senz'altro s'avanza Borgese, accanto, occorre dirlo, proprio a quel Soldati, da lui precocemente celebrato sulle colonne del "Corriere della Sera", che, negli stessi anni, andava confezionando il suo America primo amore (1935). Epperò, l'estraneità di Borgese all'antiamericanismo di sempre (patriottardo prima, anticapitalista poi), sembra nascere, prima ancora che da un'insofferenza per le grandi ideologie novecentesche, da un'allergia al conformismo costitutivo di quelle ripetitive contumelie contro il grande Satana del dollaro e dell'alienante civiltà meccanica. Resiste e affascina ancora, invece, l'interesse intelligentissimo per una modernità assoluta, proprio nel senso di sciolta da tutti i vincoli, con cui, già nei primi anni Venti, s'era provato - con un'estetica e una poetica - a fare i conti: lui, nemico giurato della prosa d'arte, restauratore d'architetture romanzesche, fautore generoso e quasi solitario del genio difficile e aspro di Federigo Tozzi." (da Massimo Onofri, L'America di Borgese non piaceva a Mussolini, "TuttoLibri", "La Stampa", 15/03/'08)

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