"E se tu verrai ancora da me, ti stringerò ancora, saremo ancora felici, come nei pochi momenti furtivi che ti rubavo uno sguardo, una carezza o un pensiero. Scrivimi quello che pensi tu in questi giorni, sarà come baciarti" (Cesare Pavese, autunno '32)
"Cesare Pavese ebbe grandi e tormentati amori, come rivelano la sua corrispondenza, il diario, le biografie a lui dedicate: da Tina Pizzardo a Fernanda Pivano, da Bianca Garufi a Constance Dowling. Ma nella sua vita ci fu un'altra donna, la cui identità è rimasta sconosciuta fino a oggi per varie ragioni: innanzitutto la precoce morte di lei, avvenuta appena tre anni dopo il suicidio dello scrittore, e quindi la decisione, da parte di una sorella, di bruciare le lettere inviatele da Pavese dagli inizi degli anni Trenta, probabilmente a partire dal 1932, al 1942. Il tempo cancella tuttavia a volte restituisce qualche frammento, magari per una semplice casualità: un pronipote, Paolo Scagliola, ha scoperto in casa, ad Alba, le copie di alcune poesie che Pavese aveva dato a lei. Ne ha parlato con Ugo Roello, a lungo responsabile della Biblioteca 'Luigi Einaudi' di Dogliani e appassionato cultore pavesiano. [...] Così la figura di Elena Scagliola è riemersa dall'oblio. E' la storia di una giovane donna (era nata nel 1899) bruna e minuta, libera (amava fumare il toscanello), vivace e piuttosto colta rispetto alla maggioranza delle coetanee dell'epoca, che non aveva esitato ad andare a vivere da sola per qualche mese in Francia per potere perfezionare il suo francese, che avrebbe insegnato. [...] Il Centro studi 'Gozzano-Pavese' dell'Università di Torino, diretto dalla professoressa Mariarosa Masoero, ha consentito poi di consultare le lettere (nove), le cartoline (quattro), un telegramma e un biglietto postale che Elena spedì a Cesare, fino al 1942. Fu un vero amore? Per un certo periodo, sicuramente. Non soltanto perché lei, il 18 gennaio del 1937, da Fano dove si era trasferita per lavoro, gli domandava in un biglietto: 'Perché non scrivi? Sono in pensiero. Fatti vivo anche con un semplice saluto'. E il primo gennaio del 1938, ricevendo una copia di Lavorare stanca con la dedica 'a Elena', gli scriveva con nostalgia '... in quella mia cameretta d'albergo, dove già vivi tra i miei ricordi più cari, leggerò e rivivrò quella che troverò più particolarmente poesia del tuo animo'. Oppure perché ancora nel marzo del '38 gli faceva sapere 'Carissimo Pavese, sei il ricordo più bello della mia vita'. C'è dell'altro. Soprattutto tre lettere dell'autore di La luna e i falò, conservate fra le sue carte e successivamente pubblicate nel volume einaudiano delle Lettere 1924-1944, che testimoniano l'intensità della relazione. Risalenti al settembre-ottobre del 1932 e indirizzate a una certa E., che nelle note dei curatori dell'epistolario viene definita 'collega di pavese nell'insegnamento', contengono frasi eloquenti: 'Sono stato male tutto il giorno a non vederti sulla strada di Crevalcuore'; 'Fa, E., che tutto non finisca qui: dammi una probabilità di amarti meglio, di esserti più fedele nei miei pensieri, più degno di te!' [...]. Fu la guerra con ogni probabilità, a separarli per sempre. C'è un appunto di Pavese, ne Il mestiere di vivere, risalente al 26 gennaio del 1938, che parrebbe indicare l'incrinarsi del loro rapporto: 'Oseresti tu causare tanto male? Ricorda come hai congedato Elena. Ma tutto è ambivalente. L'hai congedata per virtù o per vigliaccheria?'. Sembra scontato che il riferimento sia a E. delle lettere d'amore del '32. L'avvocato Scagliola, che ha novantasei anni e una memoria straordinaria, non sa quando tramontò la passione fra la sorella e lo scrittore. Rammenta benissimo invece la prima volta che lo vide in casa sua, a Santo Stefano Belbo, vicino alla ferrovia. Era il periodo in cui Pavese veniva a trascorrere qualche giorno nel suo paese, affittando una stanza alla trattoria della stazione, nei pressi dell'abitazione di Elena. Racconta l'avvocato: 'Doveva essere settembre, si era all'imbrunire. Rientravo dopo aver fatto la mia partita di biliardo. In salotto trovai buio. In un angolo mia mamma sonnecchiava su una poltrona. Pavese e mia sorella erano seduti sul divano, lui stava con le braccia dietro la testa, appoggiato allo schienale, e guardava verso il soffitto. Nessuno parlava. Ho acceso la luce, ci siamo salutati. Dopo, quando Pavese se ne è andato, ho chiesto a mia madre che cosa avesse detto ad Elena. E lei, con il suo accento genovese: 'In due ore non ha detto una parola'. Ma è probabile che non parlassero perché non erano soli, come avrebbero preferito'. Prosegue l'avvocato Scagliola. 'Volete sapere che tipo di rapporto ci fu fra Elena e Pavese?'. Sorride, risponde: 'Qualcosa di più di un'amicizia, un po' di più. Anche se tra loro c'era pure un'attrazione sul piano intellettuale. Elena, del resto, era la più istruita e la più libera della famiglia'. Elena morì nel 1953, dopo essersi sposata con un cugino nel 1947. 'Quando mia sorella Gisella riordinò le sue carte, si imbatté nelle lettere di Pavese. E volle bruciarle', ricorda. 'Perché lo fece? Per rispetto verso Elena'. Del loro amore, allora, scomparve ogni traccia. Conclude Igino Scagliola: 'Mi chiederete perché questa storia non era venuta alla luce. Ve lo spiego subito: nessuno mi aveva mai chiesto di raccontarla'. Ora, grazie anche a lui, l'amore fra Elena e Cesare ritrova la tenerezza e le illusioni di una bella estate." (da Massimo Novelli, Cesare Pavese, quel segreto amore di gioventù, "La Repubblica", 15/03/'08)
'Ho dato poesia agli uomini' Cesare Pavese 1908 - 1950 (da InternetCulturale)
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