mercoledì 5 marzo 2008

Lettere dalla prigionia di Aldo Moro


"Tra i tanti libri che, trent'anni dopo, ricordano la strage di via Fani e il rapimento di Aldo Moro, uno si differenzia dagli altri, se non altro per l'originalità del taglio e la puntualità dell'analisi. Non offre l'ennesima ricostruzione dell'evento né indugia su misteri veri o presunti. Compie invece un esame attento e costruttivo delle parole estreme dell'ostaggio che si rivela una lente di straordinario impatto emotivo per fare emergere l'aspetto più autentico dello statista assassinato dalle Br. In Lettere dalla prigionia (Einaudi) Miguel Gotor, ricercatore di Storia moderna dell'Università di Torino, passa al microscopio tutto quello che Aldo Moro scrisse nella sua cella brigatista (97 fra lettere, annotazioni e minute); quelle recapitate durante i 55 giorni del sequestro e quelle ritrovate tra l'ottobre 1978 e il 1990 nella base milanese delle Br in via Monte Nevoso, dattiloscritte o in fotocopia. E fornisce una chiave di lettura nuova e utile per comprendere cosa realmente volle comunicare Moro prigioniero, quanto di lui ci fosse davvero nei suoi scritti, quanto esprimesse il suo reale pensiero. O quanto fossero invece frutto di un'inevitabile contrattazione con i suoi carcerieri. Gotor che, oltre alla storia recente, studia con passione il '500 e il '600, è abituato a indagare i manoscritti e a 'farli parlare'. Ha confrontato le lettere conosciute, quelle nella versione trascritta dalle Commissioni parlamentari (Moro e Stragi), con gli originali e ha rilevato almeno una sessantina di incongruenze; mentre lo sguardo di insieme ha permesso di ricomporre il probabile percorso compiuto da quelle missive: dalla prigione al Comitato esecutivo delle Br, quindi di nuovo a Moro e, infine, dall'ostaggio ai destinatari. Ne merge un quadro pubblico e privato di grande interesse. Gotor è convinto che fosse Prospero Gallinari (uno dei brigatisti carcerieri) a battere a macchina le lettere scritte a mano dallo statista. Lo storico ha confrontato i vari testi e si dice sicuro che 'essi andavano da Moro ai dirigenti delle Br che li vagliavano, per correggerli o approvarli, per poi tornare al prigioniero per la stesura definitiva. 'C'era insomma una contrattazione tra Moro e i suoi carcerieri' sostiene Gotor ' e si deduce sia dal meccanismo di scrittura (nelle fotocopie dei manoscritti ritrovate nel '90, si individuano degli inserti che sono chiaramente il prodotto di una ricopiatura meccanica). Sia dal fatto che sarebbe stato Gallinari 'a battere a macchina i testi'. La ragione? 'Nei dattiloscritti, sono ripetuti gli stessi errori ortografici presenti in una lettera del brigatista alla sorella, scritta nel '75, dove mé o té erano accentati'. Ricorda Gotor che delle 97 lettere solo 35 sono quelle note e 28 quelle ufficialmente recapitate (almeno altre 7, infatti, secondo lo storico, vennero fatte arrivare a destinatari ma, avendo essi negato all'epoca la circostanza, non vollero in seguito smentire se stessi). Lettere smistate secondo una precisa strategia: 'quelle fatte pervenire alla grande stampa hanno rilevanza politica, altre servono a mandare messaggi, altre ancora hanno carattere privato'. Ma tutte o quasi sono lì a provare quanto fosse accidentata la loro stesura. 'Ce n'è una dell'aprile 1978, destinata a Benigno Zaccagnini (all'epoca segretario DC), che si rivela essere stata scritta da Moro con tre penne diverse. Ma non perché l'inchiostro fosse in via di esaurimento (non c'è traccia di parole sbiadite), bensì perché il testo era stato scritto in momenti diversi come dimostrato dall'assemblaggio non corretto delle parole, operato solo alla fine del percorso'. E c'è una lettera che lo storico definisce la lettera perfetta, che fotografa meglio di altre quello che probabilmente avvenne trent'anni fa. E' quella che Moro inviò alla DC il 28 aprile '78, nove giorni prima di esere assassinato. 'E' perfetta perché è l'unica di cui esistano tre differenti versioni, il che permette, confrontandole, di entrare dentro ai meccanismi di produzione del discorso del prigioniero, all'interno dell'officina brigatista, nel campo delle relazioni intercorse tra Moro e i suoi sequestratori. L'unica di cui abbiamo il manoscritto recapitato e la sua fotocopia rinvenuta a via Monte Nevoso nel '90, con un testo in parte diverso. Fotocopia che si è invece rivelata identica a un dattiloscritto trovato nella stessa base Br nel '78. Eppure ancora difforme rispetto a un ulteriore dattiloscritto che costituisce la terza stesura della lettera'. Sottolinea Gotor: 'Sulla copia di uno dei dattiloscritti, c'è una frase: le righe che seguono sono da rivedere a seconda dell'utilità che possono avere per sua espressa opinione. Sono convinto che, a scrivere questa nota sia stato Gallinari e che la parte per sua espressa opinione fosse riferita a Moro'. C'è da chiedersi se, a tre decenni dal delitto che cambiò la storia dell'Italia repubblicana e segnò una grande sconfitta per il Paese, tornare a esaminare le lettere dello statista che tante polemiche accesero all'epoca, possa aggiungere ancora qualcosa di inedito al caso Moro. 'Una frase altisonante dice che la storia si fa con i documenti e che, altrimenti, non ha senso farla', spiega Gotor 'e questi mi sono sembrati documenti eccellenti. A condizione che fossero fissati, perché stavano evaporando'. Esercizio riuscito se, grazie a questo libro, Agnese Moro, una delle figlie dello statista, ha appreso per la prima volta le parole esatte che il padre prigioniero le aveva dedicato. Nella stesura trascritta dai funzionari della Camera a cui vennero affidati i testi sequestrati dopo la morte di Moro, era scritto Ricordo i tuoi occhi vispi. Mentre il testo originale ha l'autenticità di una carezza: Ricordo i tuoi occhi birbi. 'Un'espressione intima, da lessico familiare, prezioso per chi lo sa riconoscere. Ecco, io ho cercato di restituire ad Aldo Moro le sue vere parole'." (da Silvana Mazzocchi, Le vere parole scritte da Aldo Moro, "La Repubblica", 04/03/'08)
Il film di Marco Bellocchio Buongiorno, notte (2003)

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