giovedì 6 marzo 2008

L'amore è sopravvalutato di Brigitte Giraud


"Sulle soglie dei libri, i titoli possono diventare delle insegne irresistibili. Alcuni ci attraggono per il fatale lirismo (Cent'anni di solitudine), altri per l'autentico mistero (L'insostenibile leggerezza dell'essere). Altri ancora ci invitano a entrare con una smagliante citazione (Domani nella battaglia pensa a me), o con un'ardita costruzione retorica (Il rumore sottile della prosa). Fra le tante tipologie, ce n'è tuttavia una che potremmo definire maieutica, che dispone di una forza particolare, e cioè quella di rivelarci nel titolo un senso riconoscibile come qualcosa che segretamente ci appartiene, perché da noi già in qualche modo pensato, intuito, immaginato. Ed è in quest'ultima che senz'altro rientra L'amore è sopravvalutato (Guanda), la sentenza che dà il nome a un piccolo libro apparso in questi giorni. Si tratta di una raccolta di undici racconti che portano la firma di Brigitte Giraud, scrittrice francese di quarantasette anni, nata in Algeria e già autrice di quattro romanzi. Ma forse sarebbe più corretto affermare che L'amore è sopravvalutato (che ha vinto il Premio Goncurt 2007 per il racconto) ospita una serie di brevi variazioni sullo stesso tema, e cioè quello della fine di un rapporto amoroso. Il tono è pacato, asciutto, a tratti perfino freddo. Come quello della voce della sua autrice, che dice. 'Scrivere è la mia ricerca della misura giusta. Della correttezza dello sguardo e del tono, della parola esatta. E le parole esatte sono necessariamente poche. A volte non ci sono neppure, per cui non resta che descrivere l'azione'. Quanto all'amore che finisce, e che soltanto finendo dà la misura della sua sopravvalutazione, Giraud sostiene che 'sono le favole a finire con un inizio, in cui tutti vivono per sempre felici e contenti. Nella vita è vero il contrario, e cioè che la fine dell'amore è già scritta nel suo inizio. Perfino chi vive insieme a una persona tutta la vita deve continuare a finire e a iniziare di nuovo, perché chi ti sta accanto continua lentamente a cambiare. E poi, la paura della fine dell'amore ci assilla perché è una specie di prova della vera fine, cioè della morte'. Gli undici addii del libro riguardano specie d'amore fra loro diverse. C'è la coppia che trascina la propria agonia giorno per giorno e c'è quella che celebra il rito formale della fine con il consueto, ragionevole discorso ai bambini. C'è la donna nell'ombra, che assiste al progressivo distacco di un compagno sedotto dal suo stesso successo e c'è la donna silenziosa, che segue con lo sguardo lui che se ne va, e che prima di andarsene passa in rassegna tutti gli oggetti della casa: per poi non portarsene via alcuno, e dunque abbandonarli addosso a lei come altrettante esche di ricordi. C'è un uomo con la sua bambina di dieci anni che cerca un impossibile ritorno alla normalità con un taglio di capelli nel giorno in cui la moglie li ha lasciati sulla spiaggia, portandosi via il figlio più piccolo. E c'è una donna che prova a far ripartire l'amore con un'avventura, ma nulla accade perché le cicatrici sono ancora aperte. Infine ci sono le vedove, smarrite e inaccessibili, che vagano ai margini della vita e scrivono brevi frasi sul taccuino. Amori fra loro lontani, insomma, che Giraud rinchiude con mano energica nello stesso univeso di dolore, uno spazio muto e fitto di dettagli. Il luogo dell'inventario, appunto, dove si scopre che la sola misura dell'amore è la perdita, come scriveva Jeanette Winterson. E che, in termini di sofferenza, questa misura è atrocemente sproporzionata rispetto alla realtà e alla nostra stessa capacità di disperazione. Eppure, una pagina dopo l'altra, il titolo che ci aveva fatti complici della lettura progressivamente sbiadisce, e nella mente si scontorna un sottotitolo che ci è altrettanto noto. L'amore è sopravvalutato, e non può essere altrimenti. Davanti al pianto silenzioso di tutti questi abbandoni, infatti, un sorriso involontario sul nostro volto ci ricorda che forse si può amare solo troppo, e comunque non sta a noi decidere quanto. Per smisurato paradosso, il sentimento che ci appare più nostro è proprio quello che lo è di meno, e la passione è appunto la sofferenza che il povero io affronta nel tentativo di conferire un barlume di individualità a una pulsione che ci accomuna all'intero genere umano. Il bilancio dell'eventuale sconfitta, quello sì, sarà davvero individuale. Da quel bilancio, spaventosamente in rosso, ripartiremo verso l'amore con l'illusione che il dolore ci abbia cambiati. E trasformati in accorti manager di un'impossibile economia sentimentale." (da Enrico Regazzoni, La fine dell'amore in undici addii, "La Repubblica", 05/03/'08)

Nessun commento: