"[...] Sotto il titolo Una bellezza russa (The Stories of Vladimir Nabokov), la casa editrice Adelphi pubblica tutti i racconti di Nabokov: mancano soltanto quelli raccolti nella Veneziana. Credo che il romanzo sia il respiro naturale di Nabokov, che desidera molti personaggi e vaste e complicate architetture.
Nel racconto di dieci o quindici pagine, egli si trova sovente allo stretto: vi versa tutta la massa incandescente del suo spirito, che a volte si trova soffocata nella misura breve. Nabokov ne è cosciente; e, con un lieve avvento autodenigratorio, mette sulla bocca di un personaggio questa frase: 'Lasci che le dica che non vado matto per i suoi racconti: mi irritano come una luce violenta o la conversazione ad alta voce di estranei, quando uno desidererebbe stare in silenzio, e pensare'. Nei primi racconti non risuona ancora la voce di Nabokov: il timbro è troppo basso; quando, all'improvviso, siamo travolti dal suo splendore impennacchiato e dal taglio meraviglioso dei finali. Credo che questa esplosione sia avvenuta sotto l'influenza di Gogol. Ricordo solo alcuni testi: Pioggia di Pasqua, Il ritorno di Corb, Terrore, Una questione d'onore, L'Aureliano, L'atreplice, Il cerchio, Mademoiselle O: capolavori, da mettere accanto ai più belli tra i suoi romanzi. Nei racconti perfetti, abbiamo l'impressione che un gruppo di artisti impugni la penna, il pennello e l'archetto: qualche volta essi litigano tra loro; ma alla fine, questi litigi si placano, perché, con la testa fra le nuvole, un re misterioso regge le fila, immagina il quadro, dirige l'orchestra, accorda gli esecutori. Tra questi artisti, ecco in primo luogo, il maestro della felicità, il quale si chiede: 'Vorrei capire da dove viene questa onda lunga di felicità che trasforma all'istante l'anima in qualcosa di immenso, trasparente e prezioso'. Vicino a lui, sta il maestro della luce, che rivela lo splendore del sole al diapason oppure esplode in una girandola di luci colorate; e più lontano, il maestro dei riflessi, per cui esistono soltanto i veri e i falsi specchi, le ombre, e le nuvole mutevoli come i sogni. Accanto, sta il maestro dell'inverosimile e dell'impossibile; e sul lato opposto, il suo apparente nemico, il maestro degli oggetti: ora animati e antropomorfici, ora vuoti, spettrali insensati; in ogni caso, dipinti con inezia, perché lo scrittore è proprio colui 'che dà importanza alle inezie'. Tutti questi artisti sono protetti dal maestro del riso, lontano erede di Rabelais, il quale travolge le luci e le ombre con un'ondata incontenibile di ilarità, orchestrata con una sottilissima sapienza di modulazioni. Nel cuore di questo gruppo di artisti laboriosi, si muove il maestro dei ricordi. Ecco che un ricordo insignificante torna, con un lampo, nella memoria, brilla di luce intermittente, pulsa ancora e riflette la luce; ma un attimo dopo, sprofonda sotto i nostri occhi e sembra esalare l'ultimo respiro, come se non reggesse al passaggio troppo brusco nel presente. In realtà, nella memoria formidabile di Nabokov nulla viene mai perduto: ogni cosa è accumulata e immagazzinata, sia pure nel buio e nella polvere e, dopo un lungo percorso sotterraneo, ritorna alla luce. Il passato ritorna: specie i venti anni trascorsi in Russia, per i quali Nabokov prova un amore e una tenerezza senza riserve. Di quegli anni ricorda persino la forma esatta di una nuvola in un pomeriggio di primavera, un giardiniere che cura le peonie, una farfalla polygonia che si crogiola al sole, i pannelli di vetro colorato in una veranda, attraverso i quali egli vede ogni volta il mondo in un colore diverso. Ciò che ammiriamo sempre, anche quando Nabokov imposta la voce su una nota troppo alta o troppo bassa, è l'infinita sottigliezza delle sensazioni. Quasi nessuno, nel ventesimo secolo, gli sta vicino: forse soltanto Proust e la Woolf, Yeats e Pessoa. Nabokov racconta tutte le sensazioni che gli attraversano la mente, sia pure per un baleno. Le trattiene come sono, ben strette nella mano, oppure le trasforma insensibilmente - ciò che è, forse, la maniera più sicura per conservarle. Talora sembra che egli provi una sensazione per l'ultima volta. 'La mia vita - dice - è un addio perpetuo agli oggetti e alla gente, che spesso non fa alcun caso al mio amaro, breve, folle saluto'. Talora intravede soltanto una confusa prefazione che annuncia un ultimo testo sconosciuto. Ma spesso non conosciamo questo testo definitivo: le sensazioni esplodono, come pesantissime bolle di sapone punte con uno spillo, che lasciano cadere al suolo torrenti di miele. Con queste sensazioni sovranamente reali, Nabokov vuole creare un mondo nuovo: un mondo che sia esclusivamente suo, che non assomigli a quello reale, né a quello degli altri scrittori. Qui regnano leggi e consuetudini che non ritroviamo in nessun altro luogo della terra. Non ci sono orologi: oppure battono furiosamente, lasciandosi alle spalle i minuti. Vediamo Nabokov all'opera: costruisce il racconto, come uno scenografo costruisce una scena di teatro: ha sottomano i pali, le tele, le quinte, i palazzi di cartone, i paraventi, i burattini, i martelli, i chiodi, le lacche, una lampada: gira intorno con un'aria indaffarata; e immaginiamo che nessuno meglio di lui conosca quello che costruisce. Questo mondo nuovo ricorda spesso l'operetta: un Offenbach ilare e cupo, metafisico e utopico. Alla fine, dopo che abbiamo contemplato ed ammirato il lavoro coscienziosissimo di Nabokov, ci assale una sensazione di meraviglia. Il mondo nuovo è avvolto e penetrato di mistero, che lo rende ancora più incomprensibile di quello reale. Nabokov ha cretao un enigma, di cui crede di conoscere il significato: mentre nemmeno lui né le farfalle gigantesche, né il grande Re mascherato conoscono l'ultimo segreto dei suoi racconti." (da Pietro Citati, Le farfalle di Nabokov, "La Repubblica", 21/03/'08)
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