domenica 23 marzo 2008

La fatica della luce di Gabriella Caramore

"'Se i profeti irrompessero / per le porte della notte / e cercassero un orecchio come patria. / Orecchio degli uomini / ostruito d’ortica / sapresti ascoltare?'.
Versi di Nelly Sachs, premio Nobel per la letteratura del 1966. Il piccolo libro Einaudi è sul tavolo, molto ordinato, di Gabriella Caramore. Veneta di nascita, romana di formazione, dopo la laurea con tesi dedicata a L’anima e le forme di György Lukàcs, inizia a collaborare ai programmi di Rai-Radio Tre.

E dal 1993 è lei, ogni sabato e ogni domenica, la voce amatissima di "Uomini e profeti". La sola trasmissione, in tutto il sistema dell’informazione televisiva, che si occupa di fede e di religioni non per servizio o per obbligo, non per contratto, ma per volontà e per piacere. Che ascolta e dà ascolto a una pluralità di voci, di ogni fede, credenti e non. A che cosa dedicherà la trasmissione di domani, domenica di Pasqua? 'Sarà nel segno di Giona, che rimane tre giorni nel ventre della balena e sopravvive'. Per Morcelliana, è in uscita La fatica della luce, un suo libro dedicato ai 'confini del religioso'. Chi fa più fatica, la luce a trovarci o noi a scorgerla? 'E’ un’indagine sulle ragioni del credere. Nell’esercizio della laicità sta la possibilità di vivere la propria fede, cercando dentro di lei la speranza, la libertà, la lotta alla morte. La luce fa fatica a farsi percepire da noi'. Dio non ha religione: è una frase del Mahatma Gandhi. Come le suona? 'Bene, sottoscrivo in pieno. Naturalmente per quel poco che noi uomini possiamo dire di Dio: ogni parola rivolta a Lui si assume il suo rischio. Dio è più grande di ogni nostro pensiero sulle religioni'. Per dire di Dio, quando finisce la parola inizia la musica. 'L’antagonismo alla parola è anche il silenzio: nel silenzio transitano molti ascolti'. Ha avuto una formazione cattolica? 'Molto tiepida. Dopo un periodo di oscuramento conoscitivo e di isolamento, il mio paesaggio mentale ha cominciato a rianimarsi, anche per impulso di nuovi amici: Massimo Cacciari, Sergio Quinzio, Roberto Esposito, Beniamino Placido. Poi un rapido 'passaggio in India': lì ho cominciato a guardare all’orizzonte religioso come a un’esperienza e un cammino che riannodavano fili spezzati'. Il suo primo approccio con questo mondo? 'E’ venuto prima quello con l’invisibile: l’universo delle fiabe, che mia madre mi leggeva e raccontava con grande generosità. Il sogno, la realtà, mondi così comunicanti: attraverso le fiabe impari a distinguere il bene e il male. Poi, la prima lettura che davvero ricordo: La capanna dello zio Tom. Avevo otto anni, è stata la scoperta dell’amore che non muore, della forza del perdono. Un’esplosione di senso'. Quale versione legge della Bibbia e con quale frequenza? 'La versione TOB, pubblicata da Elledici. E’ l’edizione ufficiale della C.E.I, con i commenti della 'tradizione ecumenica'. E’ una lettura quotidiana, nel desiderio e nella speranza che continui a essere 'lampada per i miei passi, luce sul mio cammino'. E’ un verso del Salmo 119'. Un libro di teologia che ama? 'Resistenza e resa di Dietrich Bonhoeffer. Viene arrestato nel 1943 per aver partecipato al complotto contro Hitler ed è impiccato il 9 aprile 1945, poco prima dell’arrivo dell’esercito americano. E’ un libro capace di far risuonare la parola cristiana nel mondo 'adulto' della secolarizzazione'. L’editoria religiosa italiana è in un momento di buona salute? 'Negli ultimi anni è cambiata molto. Prima c’era una separatezza tra la cultura teologica, o chiesastica, e quella laica, adesso si pubblica moltissimo anche nell’editoria normale. Qualche volta con troppa indulgenza nei confronti dell’attualità, dello scandalistico. C’è ancora poco rigore, ma certamente c’è un dialogo fecondo tra le due editorie'. Com’è arrivata a "Uomini e profeti"? 'Il programma nasce prima di me, all’inizio degli anni Ottanta, per volontà, anche, di Enzo Forcella, allora direttore di Radio Tre. Aveva avvertito una lacuna verso il pensiero religioso e voleva iniziare a colmarla'. La responsabilità, il piacere di immaginare e condurre la sua trasmissione. Come l’hanno cambiata? 'Ho cominciato e continuo ad attraversare la tensione paradossale dell’evento cristiano e della sua parola con forte intensità, ma senza ritrovare nessuna appartenenza alla 'patria' cattolica'. E lei come ha cambiato il programma? 'Quanto accade nel mondo entra con più forza. Come si fa a non parlare dei monaci cambogiani, tibetani? E certamente negli ultimi anni è stato più necessario tornare a parlare di fede e laicità, delle posizioni della chiesa cattolica, talvolta così apertamente stridenti con la parola evangelica. Tentare di sciogliere le confusioni tra i fondamentalismi radicati in ogni tradizione e i fondamenti dei testi sacri'. Una battaglia perduta? 'Una battaglia che non si può perdere'. "Uomini e profeti": le piace il titolo? 'Ormai è quello, ma perché solo uomini e solo profeti? C’è dell’altro'. Ci sono anche gli umili testimoni. Come racconta Dostoevskij ne L’Idiota, altro suo libro di riferimento. Chi sono gli idioti di oggi? 'Tutti coloro, e sono molti, che cercano con piccoli gesti di spezzare la catena del male, senza pensare a sé'. Conosce esempi sublimi di perdono? 'Quello che viene da un’intelligenza compassionevole. Etty Hillesum che, guardando l’aguzzino nazista, dice che in fondo non riesce ad odiarlo e perdona loro perché non sanno quello che fanno. Zazà, il detenuto di Rebibbia, condannato per reati gravi, che ha perdonato se stesso, cioé ha capito di dover cambiare, si è convertito, in un senso profondamente umano'. Quindici anni di programma. La persona più bella che ha incontrato? '...'. Si sta commuovendo. A volte le succede anche alla radio, in diretta. Una commozione che le esplode dentro. '... Molte, davvero. E un profugo kosovaro; gli abbiamo chiesto, parlando del Padre Nostro, che cosa è per te il 'pane quotidiano': avere una casa, poter fare una carezza a mio figlio." (da Sandro Cappelletto, La fatica della luce nel cielo di Pasqua, "TuttoLibri", "La Stampa", 22/03/'08)

Nessun commento: