venerdì 21 marzo 2008

I custodi del libro: l'Haggadah di Sarajevo


"Era il 1942: le truppe naziste avevano già invaso Sarajevo. La comunità ebraica stava per essere falcidiata dalle deportazioni. E le otto sinagoghe della città erano state saccheggiate: correva voce che, una volta sterminati gli ebrei, Hitler intendesse creare da qualche parte in Europa un 'museo della razza estinta', dove esporre migliaia di cimeli per i turisti ariani. Così quando Dervis Korkut venne a sapere che un generale tedesco era appena entrato nel Museo Nazionale di Bosnia, dove lui era bibliotecario, si pose un unico obiettivo: salvare il gioiello della collezione, la cosiddetta 'Haggadah di Sarajevo', uno splendido codice miniato ebraico della Spagna del XIV secolo (che si chiamava 'di Sarajevo' perché lì era ricomparso nell'Ottocento, dopo un lungo oblio). Korkut era musulmano e le Haggadah - raccolte di racconti e preghiere che gli ebrei recitano in occasione della Pasqua (Pesach) - non appartenevano alla sua cultura. Ma da raffinato intellettuale qual era (teologo che parlava almeno dieci lingue), era disposto a rischiare la vita perché un simile tesoro medievale non venisse rubato. Di nascosto, riuscì quindi a convincere il direttore del museo ad affidargli l'Haggadah che teneva in cassaforte: l'avrebbe nascosta a suo rischio e pericolo. E quello che oggi è considerato uno dei volumi più preziosi al mondo e il più bel manoscritto ebraico, per le sue 34 pagine di straordinarie miniature in foglia d'oro e pregiati pigmenti, ricavati da lapislazzuli e malachite, è sopravvissuto alla seconda guerra mondiale grazie a un musulmano che lo ha nascosto in una moschea. Il che è solo uno dei tanti episodi di salvataggio di cui il codice è stato protagonista nei secoli, fino alla guerra serbo-bosniaca di quindici anni fa, quando il volume scampò ai bombardamenti grazie a un altro bibliotecario, di nuovo islamico. Una serie di avventure rocambolesche che ora vengono raccontate in un romanzo in uscita da Neri Pozza, I custodi del libro dell'australiana Geraldine Brooks, un'ex reporter di guerra per le più prestigiose testate americane diventata scrittrice di successo (il suo precedente romanzo, L'idealista, ha vinto il Pulitzer). La Brooks è brava nel costruire storione avvincenti, passo spedito e montaggio abile: in questo caso parte dalle vicende vere (ma spesso lacunose) dell'Haggadah spagnola approdata a Sarajevo, e riempie i vuoti, immaginando personaggi, dialoghi, pericoli, amori ... 'Lavoravo per il "Wall Street Journal" nella Jugoslavia in guerra. Allora il Museo Nazionale di Bosnia era crivellato dalle granate serbe e la biblioteca sventrata: sentii parlare dell'Haggadah, ma nessuno sapeva che fine avesse fatto' spiega oggi Geraldine Brooks. 'Solo a guerra finita, dopo mille congetture, si scoprì che era stata salvata. E solo nel 2001, quando le Nazioni Unite e la comunità ebraica bosniaca finanziarono il restauro del prezioso manoscritto ebbi l'idea del romanzo: quel volume, per il quale sia ebrei sia musulmani avevano rischiato la vita, era diventato il simbolo potente dell'ideale multietnico di Sarajevo, città che un tempo era stata famosa per la sua tolleranza e la convivenza pacifica tra religioni. Prima ottenni di poter assistere al restauro, che si svolse nella banca che custodiva il tesoro, alla presenza di dieci poliziotti. Poi mesi di ricerche a tappeto, per ricostruire la storia del manoscritto dal Medioevo a oggi'.

Una storia iniziata in Spagna, probabilmente intorno al 1350: le macchie di vino sulla pergamena confermano la lettura dell'Haggadah durante le cene rituali della Pasqua ebraica. E continuata con un primo fortunato salvataggio ai tempi della cacciata degli ebrei dalla Spagna da parte di Isabella di Castiglia, nel 1492: il libro fu uno dei pochi a sfuggire alla confisca e alla distruzione, quando lasciò il Paese con i suoi custodi. Ma per un po' se ne persero le tracce. Ricomparve a Venezia nel 1609, dove scampò al rogo dell'Inquisizione grazie al visto di tale padre Giovanni Vistorini, censore del Sant'Uffizio forse più indulgente di altri. Per poi arrivare a Sarajevo: una famiglia di ebrei indigenti, di nome Kohen, la vendette al Museo della città nel 1894. E siccome la Bosnia era amministrata dall'Austria-Ungheria, il volume fu inviato per una valutazione a Vienna, dove si riconobbe il capolavoro, anche se lo si rilegò in modo dozzinale. Ben più preziosa doveva essere la legatura originaria. Un volume di piccolo formato, con coperta di cartone a motivi floreali: era questo il codice che Korkut salvò dai nazisti, convincendo il generale Johann Fortner, che era venuto a rivendicarlo, del fatto che era già stato confiscato da un altro ufficiale tedesco. 'Dove Korkut avesse nascosto l'Haggadah rimaneva però un mistero' continua Brooks. 'Finché per caso non ho scoperto che la moglie, di 37 anni più giovane di lui, è ancora in vita: una vivace ultraottantenne di nome Servet. Una sera, mi ha raccontato, il marito era tornato a casa con quel volume infilato sotto la giacca, per ripartire la mattina dopo in macchina, verso un lontano paesino di montagna, dove viveva un amico imam. L'Haggadah rimase nascosta fra i testi islamici per tutta la durata della guerra, per poi essere restituita al Museo'. Brooks continua: 'Non è tutto. Servet Korkut mi ha raccontato un'altra storia mozzafiato, di eroismo e tradimento. Un giorno il marito era tornato a casa con una giovanissima ragazza ebrea, che dopo aver combattuto con i partigiani di Tito, era stata - per lotte intestine - abbandonata a se stessa: 'Bisogna aiutarla', aveva detto, 'dalle un cahdor, spacciamola per una domestica musulmana che viene da un lontano villaggio'. Così du: Mira Papo rimase con i Korkut quattro mesi, finché non le trovarono un rifugio più sicuro. Ma quando, a guerra finita, lei divenne ufficiale nell'esercito comunista e a cadere in disgrazia fu il dissidente Korkut, Mira si rifiutò di andare a testimoniare in suo favore, per paura di rappresaglie. Fu solo trent'anni dopo, ormai 72enne, che trovò il coraggio di dichiarare al mondo l'eroismo di Korkut e il fatto di averlo tradito. Oggi il bibliotecario musulmano e la moglie Servet sono ricordati tra i 'Giusti' nello Yad Vashem, il museo della Shoah a Gerusalemme: tra coloro che hanno rischiato la vita per salvare gli ebrei'. Un capitolo a sé questo di Korkut e Mira Papo: la storia di Haggadah si riapre ai primi anni Novanta. Protagonista un altro bibliotecario musulmano, Enver Imamovich, quando il Museo di Sarajevo si trovò sotto le bombe serbe. 'Furono lui e i suoi colleghi a mettere al riparo intere collezioni di libri. E a nascondere Haggadah nel caveau di una banca' aggiunge Brooks. 'La polizia si era rifiutata di rischiare la vita per delle carte polverose'. Oggi il manoscritto restaurato è di nuovo esposto al Museo Nazionale di Bosnia, circondato di icone ortodosse e opere d'arte islamiche, a dimostrare la radice comune e la convivenza possibile delle tre religioni a Sarajevo. Il tutto grazie a due sconosciuti topi di biblioteca. E infatti I custodi del libro di Geraldine Brooks è dedicato 'a tutti i bibliotecari del mondo'." (da Antonella Barina, Sopravvissuto. Storia del manoscritto ebraico sfuggito a tutte le guerre e salvato da due musulmani, "Il Venerdì di Repubblica", 21/03/'08)
"From Written to Printed Text: Transmission of Jewish Tradition" (da Library.upenn.edu)

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