"Maggio 1940, un treno merci carico di profughi attraversa la Francia, dalle Ardenne evacuate davanti all'avanzare della Wehrmacht fino a La Rochelle. A bordo del convoglio mitragliato dagli aerei tedeschi e sballottato tra stanzioncine e campi di raccolta, un microcosmo fatto di attesa, frasi spezzate, sguardi.
Dove un anti-eroe perfetto nei dettagli, dalla gracilità fisica alle ferite d'infanzia, dalla voluttà di sciogliersi da ogni responsabilità nell'onda del destino alla smania d'essere per una volta se stesso sapendo che non vuol dire migliore, incontra, nell'amplesso al buio sulla paglia della carrozza con Anna, ebrea praghese in fuga e casuale compagna di viaggio, il suo attimo di felicità. Diversa da quella ordinaria 'come il suono, che viene passando l'archetto dal lato sbagliato del ponticello, sta al suono normale di un violino. Un suono acuto, squisito, che faceva deliziosamente male'. Non fosse per l'uscita casuale a ridosso del Giorno della memoria, Il treno di Simenon (che mancava da tempo dalle librerie, era nel primo volume Mondadori dell'opera completa, 1966) potrebbe passare per il racconto intimo di un amour fou. Mentre è anche un piccolo capolavoro dell'antimemoria, composto vent'anni dopo in Svizzera dall'autore accusato di collaborazionismo: appena il treno arriva la vita riprende 'quasi normale, tranne per la presenza dei tedeschi e per l'approvvigionamento dei viveri'. La tempesta che scuote il mondo ha donato ai profughi lampi di disperata vitalità ma lascia incredibilmente intatto il resto: Marcel Feron, 'commerciante di apparecchi radio a Fumay' ritova moglie e figlia perse nello sfollamento, 'quasi deluso che tutto si sistemasse così facilmente'; tedeschi 'giovani, rosei e freschi come a una parata continuavano a sfilare senza occuparsi di noi'. Non a caso Il treno è l'unico dei quattrocento libri dell'autore a mettere in scena la Seconda guerra mondiale (insieme al giallo Il clan degli Ostendesi), per di più in forma di memoir del protagonista con 'l'idea di lasciare a mio figlio un'altra immagine di me'. Per dirgli, certo, 'che per alcune settimane sono stato capace di provare passione', ma soprattutto che il segreto oscuro di quei giorni - come sempre in Simenon frutto meno della colpa che dell'umana natura - è l'essere stato 'uomo fra milioni di altri uomini in balia di forze superiori', rifiutando 'di lasciar interferire l'avvenire col presente'. Mentre l'unica interferenza è del passato, il ricordo ricorrente della madre rapata a zero e denudata dopo la Prima guerra mondiale nelle Ardenne, già allora occupate dai tedeschi, 'i loro caschi a punta, le mantelline degli ufficiali, i manifesti sui muri, i razionamenti, il pane cattivo': anche lei travolta dal destino. Ad Anna, la donna del treno, fino all'ultimo vista solo con gli occhi stupiti e quasi stupidi di Marcel ('Si sarebbe detto che avesse passato la vita a seguire un uomo, che fosse stata creata per questo'), il fato riserva però un epilogo diverso: la incontrerà fugacemente un anno dopo mentre scappa da una retata della Gestapo, scortando da partigana un pilota inglese. Non le darà aiuto e ne leggerà poi il nome in un elenco di fucilati. Finale così spietato che un film tratto dal racconto, Noi due senza domani con Trintignant e Romy Schneider, lo capovolge in una patriottica doppia esecuzione. E invece è l'indizio più serio che Il treno, pur scritto al solito ritmo forsennato (Simenon l'ha iniziato il 18 marzo e l'ha finito il 25, nello stesso 1961 del noir Betty e di Maigret e il ladro indolente), è un libro speciale. Davvero troppo cinico e psicologicamente affilato per non riguardare altri tradimenti che quello di una moglie incinta dimenticata sul vagone sbagliato." (da Maurizio Bono, L'oscuro segreto di un anti-eroe, "Almanacco dei libri", "La Repubblica", 26/01/'08)
Le Centre d'études Georges Simenon et le Fonds Simenon de l'Université de Liège
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