lunedì 28 gennaio 2008

E poi siamo arrivati alla fine di Joshua Ferris


"Ventimila copie e tre edizioni in Italia, un grande successo nel resto del mondo e infine la consacrazione del New York Times, che lo ha messo tra i cinque migliori romanzi del 2007. E poi siamo arrivati alla fine (Then We Came to the End) di Joshua Ferris, uscito da noi un po' in sordina un anno fa e giustamente rilanciato in questi giorni dalla Neri Pozza nella buona traduzione di Katia Bagnoli, è uno di quei romanzi-sorpresa che ridanno fiducia nella possibilità che siano i lettori a scegliere i successi, e non le logiche del marketing e degli anticipi milionari, che spesso inquinano gli orientamenti degli editori. Tutto questo senza rinunciare alla sfida della sperimentazione che è il sale delle novità letterarie autentiche. Infatti, così come ai tempi di Le mille luci di New York, Jay McInerney aveva intuito che scrivere il romanzo in seconda persona (tu vai, tu fai, al posto di io vado, io faccio) avrebbe reso nel modo più efficace lo straniamneto di una giovane vita nel turbine edonistico della New York degli anni Ottanta, allo stesso modo l'esordiente americano Joshua Ferris è riuscito ai nostri giorni nell'impresa di scrivere un romanzo in prima persona plurale - il 'noi' al posto dell''io' - per rendere attraverso una voce narrante collettiva il mondo di un'agenzia di pubblicità americana, dove gli impiegati sono addestrati a lavorare in gruppi e a confrontarsi in infinite riunioni. E in questo modo ha saputo coinvolgere in modo seduttivo sia quei lettori giovani che si misurano con gli stessi valori e navigano come i personaggi del libro in un mondo di 'brochure' e 'gadget' e 'meeting' e 'briefing', sia i letterati che soppesano le virgole e sanno quando è il caso di inchinarsi al cervello unito alla buona scrittura (non a caso due sponsor del romanzo sono Zadie Smith e Nick Hornby). Dov'è la novità, direte. Dal coro della tragedia greca a Le vergini suicide di Jeffrey Eugenides (altro scrittore americano generazionale, altro newyorkese d'adozione), il 'noi' era già stato sperimentato. Ma dove il 'noi' di Ferris stupisce e convince è nella sua perfetta resa del clima di pettegolezzo, ossessione e angoscia, di un momento cruciale nella recente storia della società americana: quel momento degli anni Novanta in cui si passa dall'euforia del 'dot com boom' alla fase in cui la bolla informatica scoppia e il mercato crolla e tutte le certezze di un momento fa svaniscono nella precarietà. 'Vi state già annoiando?', ironizza Joshua Ferris. 'Noi ci annoiavamo tutti i giorni. La nostra noia era sempre in corso, una noia collettiva, e non sarebbe mai morta perché noi non saremmo mai morti'. Cos'è questa se non la voce dell'onnipotenza giovanile? La voce di chi scrive 'eravamo giovani e strapagati' e intanto nuota in un acquario lontano dall'oceano della vita vera, prima che i licenziamenti arrivino come l'inizio della fine, e in fondo in fondo, coem una liberazione." (da Livia Manera, Il mondo precario di Joshua Ferris, "Corriere della sera", 27/01/'08)
Nine to five (da GuardianUnlimietdBooks)
Writers' rooms: Joshua Ferris (da GuardianUnlimietdBooks)

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