lunedì 21 settembre 2009

Mazzantini: "Non mi vergogno di far piangere"


"'Autrice popolare? Certo, perché no. Scrivo per raggiungere le persone, non sono una scrittrice ombelicale. Io scrivo affacciata alla finestra, sono gli altri a starmia cuore. E con quattro figli mis ento una gladiatrice della vita, col coraggio di correre dei rischi. Credo di averne corsi molti, in Venuto al mondo, perfino quello del ridicolo. Il vero premio è avercela fatta, a volte piangendo per le storie dei miei personaggi e di quella guerra'. Margaret Mazzantini, vincitrice del Campiello con settanta voti di scarto della giuria popolare, al terzo romanzo dopo Il catino di zinco che perse la finale a Venezia nel 1994 e Non ti muovere che vinse lo Strega nel 2002, rivendica fieramente quelli che ai detrattori pososno apparire difetti: 'Ho scritto com amore e disperazione. Il risultato non è affatto un libro semplice, affronta della maternità in un modo molto contemporaneo e il dolore e gli orrori di una guerra, quella a Sarajevo, che resta una macchia nella coscienza dell'Occidente'. Venuto al mondo è stato un successo: 370 mila copie conteggiate dall'editore Mondadori, dall'uscita in ottobre. Ma non pensa che il timbro emotivo sia un po' troppo 'facile'? 'Tutt'altro. Gli argomenti che tocco mi sembrano abbastanza scabrosi da escludere che sia andato a ruba come lettura estiva senza pensieri ... Il libro è partito come un diesel, dopo l'uscita è scattato il passaparola, e il suo cammino è proseguito tutta l'estate. A giudicare dalle lettere che ricevo, credo che i lettori abbiano riconosciuto alla mia scrittura di aver affrontato temi e sentimenti dolorosi importanti. E per me i libri hanno senso se ti possono scaldare un po' il cuore, come mi capita da lettrice di fronte agli autori che amo'. [...] La sua vittoria al Campiello sembra raccontare una stagione letteraria agli antipodi di quella rappresentata allo Strega: là duello all'ultimo voto tra scrittori molto legati allo stile, qui prevalenza di scrittrici e palma a una storia di sentimenti e passioni ... 'Penso che i premi letterari dipendano fondamentalmente dai libri in gara. Io sono un'outsider e mi piace accorgermi dal voto di una giuria popolare che, in tempi in cui sembra non si sappia più distinguere un sapore dall'altro, a volte viene premiato un approccio meno leggero alla realtà. D'altra parte anche la scelta etica di occuparsi di vittime non sembra particolarmente di moda, quando si vive tra leghe, ronde e istinto di chiudersi in se stessi'. Quando partecipò per la prima volta al Campiello con Il catino di zinco, nel 1994, in cinquina c'erano Antonio Tabucchi, che vinse, Arbasino, Pontiggia e Biamonti. Quest'anno è stata una gara più facile? 'Diciamo che allora fu un finale con concorrenti formidabili. Ma credo anche di poter aggiungere che da parte mia ho aspettato a lungo, sette anni, per pubblicare l'anno scorso il libro che sentivo di voler scrivere. Mi è riconosciuto anche dai detrattori che sarebbe stato più semplice fare un romanzo più simile a Non ti muovere, che ha venduto un milione e mezzo di copie, anziché arrischiarmi a cambiare radicalmente, come finora ho fatto a ogni nuovo libro'. Perché ha scelto la guerra in Bosnia come tema? 'Avevo inziato a pensarci già a tragedia in corso, nel '91. Ricordo quei giorni in cui mio figlio Pietro, che avrebbe poi dato il nome al figlio della protagonista del libro, era appena nato. Avevo di fronte quello che mi appariva come un regalo meraviglioso, e nel frattempo la tv trasmetteva immagini terribili. A pochi anni dalla caduta del Muro, passammo tutti dalla speranza in un futuro di pace alla certezza che l'orrore poteva ancora scatenarsi nel cuore civile dell'Europa. Lo spunto iniziale viene da lì, e dal tema della maternità opposto alla morte, anche se allora non riuscii a farne un romanzo. Ma la bottega dello scrittore è come una buona casa: nasconde, non ruba. Così dopo aver finito un altro libro del quale non ero abbastanza contenta da pubblicarlo, e averne lasciato un altro a metà, ho ricominciato a sviluppare quell'idea. E ho impiegato un anno difficilissimo a terminarlo'. Ha molti manoscritti lasciati nel cassetto? 'Mi considero più un'artista che un'intellettuale e credo in quello che romanticamente si chiama 'dono del talento', ma credo anche che il talento sia lavoro quotidiano: ho scritto tutti i giorni della mia vita, e naturalmente solo una minima parte è diventata libro. Con Simenon, in fondo penso anch'io che lo scrittore abbia una vocazione all'infelicità'." (da Maurizio Bono, Non mi vergogno di far piangere, "La Repubblica", 07/09/'09)

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