mercoledì 16 settembre 2009

Appestata, invivibile, bellissima la Milano di Raboni


"Non ha mai 'creduto alla favola di Milano capitale morale' Giovanni Raboni, l'intellettuale scomodo di cui siamo ancora più orfani a cinque anni dalla scomparsa. Che cosa avrebbe detto dell'Expo? Chissà se oggi avrebbe ripetuto 'La Padania cosa diavolo è?'. La sua eredità resta nei libri, vera e propria memoria per il futuro di questa metropoli 'cattolicamente caotica, incosciente e invivibile'. 'Una città come questa non è per viverci, in fondo: piuttosto / si cammina vicino a certi muri, / si passa in certi vicoli ...' aveva scritto Raboni ricordando, con qualche provocazione attuale, la Milano degli untori di manzoniana memoria. Rendergli onore con una mostra di libri è forse l'omaggio migliore, specie se avviene nella biblioteca dove batte ancora più che altrove il suo cuore: a Porta Venezia. Qui, in via San Gregorio, l'autore di A tanto caro sangue nasce nel 1932: 'le finestre di casa non davano più sui binari: la nuova stazione in stile egiziano-floreale ci stava ormai alle spalle'. E' una misteriosa zona di frontiera: 'da una parte i condomini fastosi della borghesia mercantile e dall'altra le lugubri case d'affitto di negozianti', con 'l'affascinante pullulante casbah della prima emigrazione meridionale'. Per il giovane poeta lo stupendo piazzale ventoso di Porta Venezia si trasforma in porto di mare 'con le bancarelle di libri usati e gli sfiatatoi del diurno'. Corso Buenos Aires è poi una San Francisco 'con i cinematografi profondi come caverne, i labirintici negozi di scarpe a buon prezzo, le vetrine di animali vivi, le domestiche somali, pensionati, magnaccia ...'. In zona tornerà a vivere dopo aver abitato in altri luoghi, cantati fin da Le case della Vetra del '66, come quel 'Naviglio a due passi, la nebbia era più forte, / prima che lo coprissero'. Non sempre sono scorci idilliaci: 'non era certo un posto dal passarci / insieme a una ragazza. Ma / come hanno fatto ad abbattere case, distruggere quartieri?'. Al ritorno dallo sfollamento durante la guerra, a Sant'Ambrogio Olona sulla via per il Sacro Monte di Varese (buen retiro di grandi letture, da Buzzati a Vittorini e Montale: 'So di dover molto a Montale ... per il fatto che non si possono avere troppe pretese nel Novecento per la poesia come fonte di verità'), ad attirarlo è la Milano della cultura che conosce grazie ai biglietti omaggio forniti dal padre, vicesegretario comunale: il Piccolo Teatro diventa seconda casa (scriverà per la scena: Alcesti) e con Strehler frequenta il 'poeta e di poeti funzionario' Vittorio Sereni e conosce 'il coraggio delle ossessioni' di Testori: autori che gli insegnano a raccontare se stesso attraverso ciò che è intorno. La letteratura si fa vita e rilegge Manzoni (difeso contro gli 'antimanzoniani') quando torna a Porta Venezia e riscopre il Lazzaretto della peste: 'grazie al fatto di essere nato ai suoi margini credo di essermi reso conto in modo concreto, fisico, che la mia città non era solo quella che vedevo, case, strade, piazze, gente viva, ma era piena di storia, case, strade, piazze, gente, che non c'erano più. La mia città visibile era piena di storia invisibile e questa era piena di dolore, minacce, paura'. Così nelle sue poesie, fino agli Ultimi versi postumi del 2006 curati dalla compagna Patrizia Valduga, entra la peste come metafora di contagio, condanna, ingiustizia. La denuncia morale emerge anche nelle battaglie sui giornali, fin dal 1971 in molti manifesti politici e poi sul "Corriere" con interventi raccolti in un libro in uscita domani da Rizzoli (Il libro del giorno, a cura di Massimo Onofri). Sopra tutto, l'arte del dubbio: dalla notizia sulla candidatura del Nobel alla Merini ('nessuno scandalo, perché nessun premio si basa su un giudizio critico assoluto') alla vera 'tradizioen lombarda' (da Porta a Sereni e Rebora, anch'essi di Porta Venezia), alla programmazione alla Scala che gli fa dire: 'fa piacere ogni tanto essere contenti della propria città'. La vera Milano per Raboni è però sempre quella dei resti del Lazzaretto vicino a casa: 'qualche inferriata, qualche rossastro brandello di muro, al quale mi piace pensare come al vero, occulto emblema di questa città appestata, invivibile, bellissima'." (da Roberto Cicala, Appestata, invivibile, bellissima la Milano di Raboni, "La Repubblica", 15/09/'09)

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