sabato 15 maggio 2010

Per un umanesimo scientifico. Storia di libri, di mio padre e di noi


"C’erano una volta due giovani editori torinesi, che catturarono Einstein e Freud, Fermi e Jung e altri scienziati venuti a cambiare il mondo. Giulio Einaudi li fece scendere dalle torri d’avorio a diffondere direttamente la propria sapienza. Paolo Boringhieri giunse a investire nei sogni che la psicoanalisi scandagliava e si batté per un nuovo umanesimo, che filosofi e uomini di scienza avrebbero perseguito insieme.
Altri editori italiani non erano indifferenti alle incalzanti scoperte della scienza, della tecnica, della biologia, della medicina. Ma nessuno come Einaudi, che nel 1938 aveva già dotato la casa, fondata appena cinque anni prima, di una collana scientifica moderna e d’alto livello. Quell’intuizione, condivisa, perfezionata da Ginzburg e Pavese, porterà a un’impresa formidabile. Protagonisti assoluti, l’atomo, l’inconscio e battaglie di idee. La scena, un’officina in fermento. Al tavolo della regia, Felice Balbo e Boringhieri. Toccherà a lui cercare una sintesi. Trasforma la fine in un inizio. Da regista si fa autore. Acquistate le Edizioni Scientifiche Einaudi, sostituito allo Struzzo il «Celum stellatum», è il primo editore italiano totalmente dedito alla scienza.
Nessuno aveva mai così compiutamente svelato questa memoria come fa ora sua figlia, Giulia Boringhieri, nel volume Per un umanesimo scientifico. Storia di libri, di mio padre e di noi, che Einaudi presenta oggi al Salone del Libro. Scavando a grande profondità, con tanta ricchezza di dettagli, retroscena, testimonianze, documenti inaspettati e inediti, la tenera intenzione di raccontare una «Storia di libri, di mio padre e di noi» è rimasta pudico sottotitolo, embrione dal quale lievita, in 426 pagine, l’affollato affresco di un’epoca.
Einaudi aveva venticinque anni quando sentì la necessità di strappare le rivoluzioni scientifiche del Novecento all’angusta comunicazione tra specialisti, per affrontarli come fatti culturali. Nel ‘37 scrive a Fermi: «Eccellenza, nell’iniziare una “Biblioteca di cultura scientifica”, (...) vorrebbe Ella dare alla mia collezione un volume a Sua scelta, che si rivolgesse a un pubblico non di specialisti, ma di persone colte (il pubblico, per intenderci, per cui scriveva il Poincaré)?».
Era quanto le librerie non offrivano ancora. La torinese Bocca, quella di Lombroso e della scienza positivista, aveva sospeso l’attività nel ‘36. La bolognese Zanichelli nel ‘21 per prima aveva tradotto la Relatività speciale e generale di «Alberto» Einstein pubblicando poi Castelnuovo, Persico, Levi-Civita sulla fisica quantistica e relativistica, ma seguiva la vocazione scolastica con testi per licei e università. La milanese Hoepli dei manuali approfondiva qualche argomento scientifico: nel ‘31 gli Elementi di psicoanalisi di Edoardo Weiss portavano la psicoanalisi in Italia. Bompiani alla ponderosa Enciclopedia scientifica monografica italiana del XX Secolo affiancava una collana popolare che spaziava dalle piante all’oltretomba.
Da un lato enciclopedismo e tecnicismo. Dall’altro divulgazione e banalizzazione. Nell’Italia fascista, che su idealismo e svalutazione della scienza vedeva concordi il fiero avversario del regime Croce e il suo schierato filosofo Gentile, Einaudi voleva suturare la ferita fra cultura tecnico-scientifica e cultura umanistica. Prima della Liberazione avrebbe collezionato la folgorante sequenza di undici pietre miliari del pensiero scientifico: I quanti e la fisica moderna di De Broglie, Embriologia e genetica di Morgan, Introduzione al pensiero matematico di Waismann, Il tempo e la vita di Lecomte du Noüy, I riflessi condizionati di Pavlov, I raggi cosmici di Millikan, L’acclimatazione delle piante di Malejev, La conoscenza del mondo fisico di Plank, La teoria dell’editarietà di Kühn, La formazione dei continenti e degli oceani di Wegener, La lotta per l’esistenza di D’Ancona.
Con questi gioielli la collana Azzurra spiccava sulle collezioni einaudiane accanto a quella Viola di studi religiosi, etnologici e psicologici, cara a Pavese. La collana morì con lui, perduto timoniere. La produzione scientifica soffrì i sotterranei contrasti ideologici nella direzione editoriale, esplosi con la bomba di Hiroshima. Tutti sentivano il dovere di svolgere un ruolo politico e civile, ma sull’eredità di Gobetti e di Giustizia e Libertà (Antonicelli, Mila, Bobbio, Carlo Levi, Venturi) premeva il catto-comunismo e il comunismo (Giolitti, Geymonat, Cantimori, De Martino, Muscetta, la Ginzburg) e direttamente il Pci, che deteneva i diritti delle opere di Gramsci lanciate nel ‘45 da Einaudi con una rilevante operazione economica e simbolica.
Anche ciò indusse Balbo ad allontanarsi dal ponte di comando e a lasciare il testimone a Boringhieri, che il 1° aprile ‘57, a trentasei anni, abbracciò quel giacimento come editore in proprio. Fermo, come l’amico einaudiano, nel rifiutare dogmi e miti, coinvolgeva nella sfida il filosofo Giorgio Colli, «alieno al crocianesimo, alla filosofia americana e alla politica». Varò i Classici con Galileo ed Eulero, una Storia della tecnologia, saggi di matematica, biologia, elettronica, informatica. Spaziò dalla storia scientifica alle religioni orientali: Boyle, Spinoza, Schopenhauer, Darwin, Nietzsche, Jung, il sanscrito Upanishad. Di Einstein e Freud - con i leggendari i dodici volumi diretti da Cesare Musatti - pretese versioni rigorose, che ne facessero risaltare la qualità letteraria.
C’erano una volta questi editori. Riservato pure in famiglia, l’uomo Boringhieri resta schivo persino nel gremito affresco della propria avventura. Più di lui, la figlia fa parlare i documenti e i testimoni. Ma quanto rivelatori quei suoi appunti, finora segreti, su Beethoven e su Mahler «spirito d’acciaio»: specchio di un uomo che ha dialogato con i Titani della scienza." (da Alberto Sinigaglia, Con la scienza non fece lo struzzo, "TuttoLibri", "La Stampa", 15/05/'10)

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