martedì 25 maggio 2010

Come mi batte forte il tuo cuore



Come mi batte forte il tuo cuore (Einaudi)

"Un altro piccolo mistero l'ho chiarito. Niente carte della P2, né oscuri informatori dei Carabinieri, per una volta parliamo di calcio. Che per papà, da buon maschio italiano, era cosa alquanto seria. Amava ricordare d'aver esordito come cronista sportivo ("la mia prima palestra di realtà", disse, e al Corriere d' Informazione trovò un Gino Palumbo che esortava i redattori di politica interna a "fare gli spogliatoi di Montecitorio"), venerava il maestro Gianni Brera ("occhi da civetta, occhi buoni") e aveva un cuore rossonero (questa sarebbe una gran brutta annata, coi trionfi di Mou). Ma che fosse anche un buon calciatore, al punto da passare per i giovani del Milan, incrociando i leggendari Maldera I e II, proprio mi mancava. L'affettuosa rievocazione di un anziano collega è un graffio bruciante inferto al mio orgoglio di ricercatrice: come può essermi sfuggito un fatto così sostanziale? Possibile che il giovane, egocentrico Walter non si pavoneggiasse di un simile trofeo nelle corrispondenze amorose degli anni giovanili? Tiro un sospiro di sollievo quando, con una breve febbrile ricerca, ricostruisco la verità, che è assai più divertente. Come immaginavo - pur nel mio sconfinato affetto filiale - il giovane Walter fu un mediocre centrocampista: aveva il baricentro basso di Maradona e Messi, ma senza il loro scatto felino. Dotato però di un'ottima visione - di gioco, e non solo -, l'intelligenza unita all'intraprendenza del "cronistello ringhioso" (come si autodefinì a quindici anni) gli consentirono di ottenere, con sottile perfidia, una memorabile gratificazione sui campi da gioco. Giovane immigrato, residente nell'hinterland, organizzò una partita tra i compagni del prestigioso liceo Parini di Milano centro e la squadretta di Cusano Milanino. A sorpresa - racconta Stefano, l'amico di sempre Walter "con un sorriso sornione da gatto del Cheshire" si schierò con i cusanesi, alti, muscolosi e scattanti. Al terzo gol incassato senza nemmeno riuscire a toccar palla i compagni di scuola mangiano la foglia: sfruttando le conoscenze guadagnate scrivendo per il periodico Milaninter, Walter aveva schierato in campo il fiore dei semiprofessionisti di Milanello. A modo suo, giocò, effettivamente, coi giovani del Milan. Non ho foto di quell'impresa, ma mi figuro che avesse il sorriso soddisfatto di quando ritirò il "premiolino" nel 1975. Immagino che lo divertirebbe, rievocare questo piccolo trionfo.
Perché raccontarlo alla vigilia del trentesimo anniversario del suo assassinio? Il perimetro del campetto è spazio di vita fuor di retorica, rubato al silenzio della morte. Nei molti mesi dedicati alle ricerche per scoprire il padre che non ho conosciuto (cercando materiale per il mio libro su di lui), ho imparato come lo studio e l'assidua riflessione sul passato, sulla vita di chi non c'è più, possano sempre riservare sorprese, rivelare nuove sfumature. Anziché sentirmi schiacciata dall'abisso incolmabile della distanza, ho cominciato a percepire un varco simile a una porta socchiusa, che apre su spazi di cui non possiamo illuminare ogni angolo, ma svelano sempre nuove prospettive, man mano che ci spostiamo. Così continua un dialogo tra il presente e il passato, sul filo del rasoio. Mi infastidisce sentirmi chiedere sempre dove sarebbe e cosa farebbe mio padre oggi, cosa scriverebbe dell' una o dell'altra questione: una forma di pigrizia mentale anticamera di "mummificazioni" e appropriazioni indebite.
La vita di Walter Tobagi, brillante professionista trentatreenne, è stata fermata nel 1980. I terroristi hanno rubato a tutti i lettori la sua intelligenza e la coraggiosa limpidezza, ai colleghi e a tutto il paese il suo impegno civile appassionato. Ci è stata tolta la possibilità di sapere cosa avrebbe detto e scritto oggi, in una situazione di pericolo per la libertà di informazione e di profonda depressione e sfilacciamento della società. Ma abbiamo scritti e discorsi con cui ha analizzato e affrontato anni difficilissimi, molto diversi dai nostri, ma che sono la radice del presente. Ci tocca lo sforzo di tornare a quelle fonti, senza ridurlo a un santino, uno slogan, un poster da esibire. La memoria della vita di Walter Tobagi - come di tanti altri deve appartenere a tutto il paese, ma nel rispetto della sua (complessa) identità. [...]
Esattamente trent'anni fa, il 27 maggio del 1980, la sera prima di morire, Walter Tobagi partecipò, come sempre più spesso accadeva, a un dibattito sui problemi dell'informazione, "Fare cronaca tra libertà d'informazione e segreto istruttorio", organizzato per solidarietà col collega Fabio Isman, arrestato per aver pubblicato documenti secretati fornitigli da un ufficiale del Sismi. Ai tempi del terrorismo queste situazioni erano frequenti e creavano tensioni. E' uno choc (forse salutare) rendersi conto che trent'anni dopo, pur con tanti cambiamenti, certe tensioni permangono irrisolte, altre sono peggiorate e ora il Governo mette in discussione addirittura il diritto di cronaca e importanti strumenti d'indagine. E' stimolante rileggere le riflessioni che mio padre formulò quella sera. Aveva uno speciale talento nel riuscire a sviscerare le varie facce di un problema, sminuzzandolo in pensieri ordinati come la sua grafia minuta, asciutta e spigolosa: la netta difesa del diritto di cronaca si mescola ai richiami severi a colleghi, che sono tenuti al massimo rigore deontologico, alle riflessioni sul rapporto di strumentalizzazione reciproca che sempre rischia di avvelenare il rapporto tra il giornalista e le fonti, sulle responsabilità cui chiama la cronaca giudiziaria. Portava avanti con il magistrato Adolfo Beria d'Argentine il progetto dei comitati "giustizia e informazione": avrebbero dovuto parlarne la sera dopo, ma le pagine dell' agenda, dal 28 maggio, restano vuote. Walter Tobagi si è mosso in un periodo tormentato e complesso, con tanta passione civile e l'attitudine a cercare sempre la dimensione della profondità, in posizioni spesso minoritarie. Cattolico, socialista autonomista, sincero progressista ma critico intransigente dei conformismi di sinistra, da vivo è stato molto solo. Uno che a 31 anni, mentre la sua carriera prende il volo sul Corriere della Sera, si accolla l'onere di un grosso impegno nel sindacato, senza ridurre l'attività al giornale, per senso di solidarietà verso i colleghi: il suo prestigio personale poteva servire a tutti. Tenendo l'autonomia del giornalista e la libertà di stampa come riferimento per battaglie concrete. Uno che parte col movimento dei giornalisti democratici dopo piazza Fontana, e anni dopo, attirandosi molti odî, rompe la corrente sindacale che ne era scaturita, poiché a suo parere si era sclerotizzata e degenerava in lottizzazione. Ripensare a uomini come mio padre non è, né dev'essere, comodo o rassicurante. Spero che provochi sempre dubbi e nuove domande: una perpetua, vitale tensione tra passato e presente. Spero che anche voi vi lascerete pungolare dal suo sorriso, per pensare un po' più e un po' meglio, per leggere un libro in più, per capire cosa potete fare per contrastare le diverse ma gravi forme di "lacerazione sociale e disprezzo dei valori umani" (parole di Walter nel 1978) che affliggono la società di oggi." (da Benedetta Tobagi, Walter Tobagi: due o tre cose che non sapevo di mio padre, "La Repubblica", 24/05/'10)

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