mercoledì 12 maggio 2010

La Dea cieca di Anne Holt


"C'è sempre un senso di smarrimento quando ti sei affezionato ad un personaggio - o ad una coppia di personaggi - e l' autore, all' improvviso, te ne propone un altro. Non importa quando siano stati scritti i libri, se prima o dopo, conta la sequenza con cui li hai conosciuti, e dato che Anne Holt in Italia ci ha raccontato le sue storie soprattutto attraverso i coniugi Vik e Stube, profiler e poliziotto, quando arriva questa Hanne, detective alla omicidi della centrale di polizia di Oslo, ecco che la cosa ti spiazza. Non ti spaventa, no, bisogna avere fiducia negli autorie la Holt è una scrittrice che ci ha sempre proposto belle storie a metà tra il poliziesco e il noir politico, con quella fredda efferatezza, quell'esotismo da capo nord e quella spietata critica sociale da paradiso maledetto a cui ci hanno abituati gli autori scandinavi. Inoltre ha una capacità di descrivere i personaggi, soprattutto quelli secondari, che fa in modo che i suoi romanzi siano quasi corali. Quindi, massima fiducia in questo La Dea Cieca (esce oggi da Einaudi), sapendo che uno scrittore affida ad ogni personaggio la storia che questi è meglio in grado di raccontare. Non rivelo niente che non sia rivelabile: due morti che sembrano non avere niente a che fare l'uno con l'altro e che invece sono collegati in un disegno molto inquietante ed efficacemente complesso; personaggi che ci si trovano invischiati rischiando la pelle e invece vorresti che non gli succedesse niente; poliziotti che cercano di fare il proprio dovere nonostante tutto, e in questo tutto ci sono anche le istituzioni a cui appartengono, come i servizi segreti. Fine, non ho detto niente ma non c'è bisogno di dire altro. Le trame non si raccontano, si scoprono. A mano a mano che si procede nel romanzo ci si accorge che la Holt ha affidato la sua storia alla persona giusta. Hanne è una prima della classe. Buona famiglia borghese che la vorrebbe fare un lavoro più nobile che avere a che fare con il peggio della società. Studentessa modello all' accademia di polizia, collega modello amata da tutti, funzionario modello ossessionato dalle pratiche inevase e dall'orrendo codice 58 - caso archiviato per mancanza di prove. Bella come una modella. E' perfetta, Hanne, a parte il problema di essere omosessuale. Che non è un problema in sé, naturalmente, lo è per la società in cui vive, per quanto evoluta, soprattutto in un microcosmo sempre un po' più antiquato com' è quello della polizia. Ma non importa, non lo sa nessuno e comunque lei è così bella che nessun uomo è disposto a crederlo. Con il suo lavoro Hanne ha un rapporto che la Holt - con una metafora ancora inedita in un poliziesco - paragona a quello che un pescatore ha col mare, parole della stessa Hanne. Neanche il commissario Maigret - tra i personaggi letterari più integrati ed organici al lavoro del poliziotto - era arrivato a tali punte di romanticismo. Ecco, un personaggio così è perfetto per raccontare una storia come questa, che dimostra come la società, anche quella norvegese e scandinava, non sia perfetta per niente, anzi. Un mondo che avvolge la nostra Hanne lasciandole addosso proprio quella puzza di interiora di pesce dei pescatori, che per lei è l'odore della morte. Così alla fine ti accorgi che hai fatto bene a dare fiducia alla Holt anche per questo romanzo, nonostante l'assenza di Vik e Stube. Ora, succede anche un'altra cosa. Hanne Wilhelmsen non è sola in questo romanzo. C'è anche Hakon Sand, un collega di Hanne, che lavora con lei e sembra essere l'altra metà di una coppia. Ma alla fine della storia la protagonista è lei, la detective perfetta (quasi), e quella di Hakon sembra più una storia parallela. Perché succede questo? Perché Hanne è un bellissimo personaggio naturalmente ma anche, io credo, perché è una donna. Nel noir i protagonisti femminili hanno sempre avuto una particolare forza, se calati nella storia giusta, naturalmente: non è un valore assoluto. Non è una cosa di oggi, è dai tempi del giallo classico di Agatha Christie che succede, per esempio con miss Marple, ma è soprattutto col noir e col police procedural, con le storie poliziesche. Escluso l'hard boiled degli anni di Raymond Chandler - dove sarebbe stato storicamente molto difficile vedere davvero una donna condurre credibilmente un'indagine criminale - subito dopo arrivano una serie di detectives pubbliche o private di grande forza, che fanno la differenza. Pensiamo alla giovane allieva dell'F. B. I. Clarice Starling in Il silenzio degli innocenti, di Harris. Oppure alla anatomopatologa Kay Scarpetta dei romanzi di Patricia Cornwell. O alla detective privata Giorgia Cantini di Quo vadis, baby e degli altri romanzi di Grazia Verasani, solo per citarne qualcuna. Ma anche ai personaggi apparentemente secondari, come l'agente Amelia Sachs, che diventa le braccia e le gambe del grande criminologo Lincoln Ryme, tetraplegico bloccato a letto, ne Il collezionista di ossa di Jeffery Deaver. Succede, io credo, perché nel nostro immaginario narrativo e anche nel nostro modo di ricordare la realtà una donna poliziotto è ancora una strana intrusa. Fa un mestiere che ancora nonostante le varie Angelina Jolie, Jodie Foster e Sandra Bullock, ma soprattutto nonostante questori, ispettori e agenti donna che vediamo al telegiornale - viene considerato un mestiere da uomini e questo dà ai personaggi una carica estraniante che dal punto di vista narrativo è come un trampolino che ti permette, scivolando sulla curiosità del lettore, di andare più a fondo nel personaggio. Permette di temere più realisticamente per le sorti del personaggio in un universo narrativo in cui l'eroe, il detective, l'uomo con la pistola sembra sapersi difendere di più di una donna, per quanto armata e addestrata. Permette di cambiare il punto di vista e di inserire elementi della vita quotidiana che una donna, di solito, si trova costretta a portarsi dietro più di un uomo, che può scordarsi dei figli, per esempio, o della casa, per essere solo un poliziotto. Permette di farcela stare male, in quel mondo di uomini, anche se le piace il suo mestiere come il mare ai pescatori, sempre comunque un po' emarginata, un po' strana, un po' sbagliata. Può essere, insomma, quello che serve in un noir: un personaggio complesso, nuovo e contraddittorio. Anche quando è perfetto come Hanne Wilhelmsen." (da Carlo Lucarelli, L'ultima signora in giallo, "La Repubblica", 11/05/'10)

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