lunedì 17 maggio 2010

Per l'alto mare aperto


"«La modernità è un'epoca, quella che mette in discussione gli assoluti. E come epoca, è finita». Oggi arrivano i «barbari», che si definiscono così non in modo spregiativo o limitativo, bensì nel senso che gli davano i greci antichi: gente, dunque, che parla una lingua a noi estranea, incomprensibile. Sono «il nuovo che arriva, sono la nuova epoca». Non «amano leggere libri, non amano la parola scritta. Non contestano, come facevamo noi, i valori dei nostri nonni e dei nostri padri per cambiarli: non lo fanno semplicemente perché non vogliono nuovi valori. Vogliono ricominciare da zero, il che è pure importante. Se li faranno da soli, i valori». I barbari, comunque, sono pur sempre «un fattore vitale», mentre ben altra cosa sono gli «imbarbariti». Oggi ce n'è una molteplicità di «imbarbariti», che imbarbariscono i nostri valori. Per questo «li dobbiamo combattere». Gli «imbarbariti» non sono presenti in Per l'alto mare aperto (Einaudi), il nuovo libro di Eugenio Scalfari, che è un viaggio, un'esperienza, dalla nascita alla decadenza della modernità, intrapresi tra Cartesio e Montaigne, Spinoza, Kant e Hegel, Diderot e Nietzsche, Ulisse e Don Chisciotte. Il fondatore di Repubblica, tuttavia, fa emergere l'imbarbarimento in virtù di una domanda partita dalla platea affollatissima del Salone del Libro di Torino, dove ieri ha dialogato con Ernesto Franco e Antonio Gnoli. È un pomeriggio intenso, di riflessioni e di interrogativi, quello che nella Sala Gialla del Lingotto, davanti a una folla silenziosa e attenta, prende l'avvio dall'avvento della modernità che Scalfari identifica piuttosto che con la scoperta dell'America con Montaigne e i suoi Saggi, sul finire del secolo XVI, in quanto rappresentano «il pensiero che pensa la modernità». La ricognizione si chiude con Nietzsche. La "bomba" innescata da Montaigne nell' universo dell'assoluto e della metafisica, in ogni caso, scoppia quando il filosofo tedesco annuncia che «Dio è morto e noi l'abbiamo ucciso». Rifacendosi a un recente commento del direttore di L'Osservatore Romano, che interpretava da cattolico quell'affermazione sulla morte di Dio, e sul fatto che siano stati gli uomini a ucciderlo, l'autore di Per l'alto mare aperto avverte, pur senza volere intaccare l' autorevolezza del giornalista vaticano: «Nietzsche dice che abbiamo ucciso ciò che abbiamo creato. Siccome noi abbiamo creato Dio, siamo in grado di ucciderlo». C'è molto Nietzsche nel ragionamento di Scalfari, nel colloquio con Franco e con Gnoli. Quel Nietzsche che è «una malattia», che spezza «il centro», l'io irrigidito,e sostiene che è ovunque. Come tutte le malattie, del resto, ha vari stadi, diversi gradi di lettura. Cambia il nostro modo di leggere, come dice Montaigne «siamo noi che cambiamo. Io l'ho letto tre volte, lo leggerò ancora». Racconta che in gioventù lo lesse in una maniera assai differente da quelle che sarebbero seguite: «Ero allora uno studente fascista, scrivevo sui giornali del Guf, portavo una stupenda divisa che piaceva alle ragazze. Un giorno fui convocato dal segretario del partito. Quando fui davanti a lui mi strappò le spalline, me le gettò in faccia e mi espulse. Restai sbalordito, credevo di essere fascista. Così mi domandai se era lui a essere diventato antifascista, oppure se lo ero diventato io. Dico questo perché, a quell'epoca, avevo letto Nietzsche da fascista: il superuomo che prende il potere e schiaccia i deboli». Il pomeriggio con Scalfari si conclude tra domande e applausi. Con quei «barbari» che «non si possono distruggere perché sono il nuovo che arriva», quelle ««isole» dell'epoca della modernità che «resistono, circondate». E con quegli «imbarbariti» che frantumano i valori che sopravvivono, ma che sono un buon motivo per combattere un'estrema battaglia di civiltà". (da Massimo Novelli, Scalfari: 'Più dei Barbari temo gli imbarbariti', "La Repubblica", 17/05/'10)

Eugenio Scalfari viaggio nella modernità di Alberto Asor Rosa

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