venerdì 14 maggio 2010

Leggere: ecco perché divorare romanzi ci rende imbattibili in società


"Altro che libri sfogliati placidamente accanto al caminetto e a scaffali di legno impreziositi dal tempo, per puro piacere intellettuale e senza altri scopi: il brivido della lettura, più che un segno di mitezza e raffinatezza di gusti, sarebbe l’equivalente della rozza soddisfazione provata dall’uomo primitivo, quando, in tempi molto lontani, si rese conto di essere in grado di capire i suoi simili e di prevederne perfino le mosse. A sostenerlo è la psicologia dell’evoluzione. «Leggere ci piace perché le vicende dei personaggi soddisfano il nostro bisogno inconscio di “informazione sociale strategica”. Fin dai primi gruppi di ominidi sapere chi sta facendo cosa e con chi è stato cruciale per formare alleanze, evitare i malintenzionati e sopravvivere» spiega Jonathan Gottschall, docente di letteratura al Washington and Jefferson College in Pennsylvania e autore di un saggio sull’argomento, The Literary Animal: Evolution and the Nature of Narrative. «Con i romanzi ci immergiamo in scenari sociali dove possiamo osservare inosservati tutto quello che persone interessanti dicono, fanno e pensano». È una sorta di allenamento all’empatia.
«Nella vita reale, non sapendo mai davvero cosa pensino gli altri, non possiamo valutare quanto siamo bravi nel leggere le loro intenzioni. Invece i romanzi prima ci stimolano presentandoci persone molto diverse da noi e sfidandoci a comprenderle, poi ci gratificano svelandoci davvero i loro pensieri» dice Lisa Zunshine, docente di letteratura alla University of Kentucky, che sfata anche il luogo comune secondo cui i superlettori sarebbero persone solitarie se non misantrope. «Sembra vero il contrario: chi legge molta narrativa spesso dimostra buone abilità empatiche e sociali, cosa che non succede a chi fa altro tipo di letture. Lo hanno dimostrato gli psicologi dell’Università di Toronto Raymond Mar e Keith Oatley in uno studio pubblicato nel 2006». Gli scrittori, forti di queste informazioni, potrebbero arrivare così a elaborare la formula del «romanzo perfetto». Secondo Daniel Nettle, psicologo dell’evoluzione alla Newcastle University, le situazioni narrative che più ci attraggono sono quelle in cui c’è una persona A che pensa o fa qualcosa rispetto a una persona B, e a sua insaputa: noi lettori ci sentiamo privilegiati perché, essendo al corrente di tutto, riviviamo situazioni che nella vita reale sono vantaggiose, come godere della confidenza di un alleato (A), o poter stringere una nuova alleanza (con B, se gli riveliamo ciò che non sa) o semplicemente sentirci perspicaci per aver capito la situazione. «È la stessa sensazione che ha il bambino quando, mentre gli raccontano la favola di Cappuccetto Rosso, sa (a differenza della protagonista) che nel letto non c’è la nonna, ma il lupo che vuole farsi passare per lei» spiega Lisa Zunshine.
I romanzieri, se vogliono avere davvero successo, stiano però attenti a non avvitarsi in un gioco di specchi che moltiplica all’infinito gli stati mentali di cui il povero lettore deve tener conto. Gli studi dello psicologo dell’evoluzione Robin Dunbar indicano che i «rimbalzi» tra le menti possono arrivare fino a quattro («io so che tu sai che lui sa che io so»), quando se ne aggiunge un quinto, il 60% dei lettori si perde. «Ecco perché i grandi narratori sono più rari dei grandi lettori: di fronte ad una stessa situazione tipo “A pensa che B voglia far credere a C di essere suo amico”, lo scrittore deve giostrarsi con un livello mentale in più, perché deve sempre tenere presente ciò che il lettore può pensare di fronte al testo, e questo “scarto di conoscenza” è particolarmente evidente nei gialli, dove lo scrittore inganna il lettore per gran parte del testo» aggiunge Lisa Zunshine.
Chi è abituato a leggere molto, comunque, ha indubbi vantaggi su chi legge poco. «I lettori fluenti sono più sciolti nell’elaborare l’informazione scritta, perciò il loro cervello ha più tempo per vivere le emozioni che si attivano nel sistema limbico quando si leggono parole come “amore”» spiega la neuro scienziata cognitivista Maryanne Wolf. E non è tutto naturale: leggere è una vera e propria conquista.
«Il cervello umano ha finito di evolversi molto prima dell’invenzione della scrittura. Così, quando impariamo a leggere, siamo costretti a convertire a nuovo uso regioni cerebrali preposte ad altri compiti, come il sistema visivo ventrale che serve per il riconoscimento di oggetti» chiarisce il neuroscienziato Stanislas Dehaene, autore di I neuroni della lettura (Raffaello Cortina). «Esiste una regione del cervello che si specializza diventando quasi un “organo per la lettura”: fa parte del sistema del riconoscimento invariante (solco occipito-temporale sinistro), quello cioè che identifica le cose indipendentemente dalle loro dimensioni e dalla prospettiva. La sottoregione che riconosce le lettere sta in mezzo a quelle che riconoscono oggetti e i volti». E in fondo l’alfabeto è proprio questo: un ponte tra il mondo concreto e l’universo delle menti che stanno dietro ogni viso chino sul libro." (da Giuliano Aluffi, Leggere: ecco perché divorare romanzi ci rende imbattibili in società, "Il Venedì di Repubblica", "La Repubblica", 14/05/'10)

Proust and the Squid di Maryanne Wolf

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