Biblioteca civica "MINO MILANI" bibliogarlasco@yahoo.it tel. 0382/801009 "Le paradis, à n'en pas douter, n'est qu'une immense bibliothèque" (Gaston Bachelard) SELEZIONE DI ARTICOLI SULL'UNIVERSO-LIBRO
mercoledì 29 aprile 2009
La malattia della metafisica di Eugenio Colorni
"In occasione del primo centenario della nascita di Eugenio Colorni (22 aprile 2009), Einaudi pubblica, a cura di Geri Cerchiai, La malattia della metafisica, una raccolta dei suoi saggi filosofici e autobiografici. Essendo ormai introvabili gli Scritti editi da Bobbio nel 1975 per La Nuova Italia, questo volume è molto più che un omaggioa una nobile e grand efigura dell'antifascismo. Esso offre l'occasione per ripensare l'attualità di un'intensa e appassionata vicenda intellettuale stronacata sul nascere. Militante da sempre (come dirà di lui Altiero Spinelli) contro la dittatura per ragioni morali prima che politiche, Colorni sarà arrestato nel 1939 e inviato al confino, a Ventotene. Nella primavera del '44 ripara a Roma ed entra nella Resistenza. Il 28 maggio del 1944 incappa in una pattuglia della banda Koch. Gravemente ferito, muore due giorni dopo. Colorni aveva studiato a Milano con Giuseppe Antonio Borgese e Piero Martinetti. Da questi due maestri (fra i pochi a rifiutare il giuramneto di fedeltà al regime) apprese che l'esercizio del pensiero e l'esercizio della libertà sono tutt'uno. Fin da subito si confrontò con Croce. E' del 1932 la monografia su L'Estetica di Benedetto Croce. Studio critico. Attraverso di lui cercava una via d'uscita dall'idealismo, che gli appariva come un sistema equivoco: vi si afferma la libertà, ma per dissolverla nella vita dello spirito, e quanto all'etica, vi si fa appello, salvo umiliarla di fronte alle presunte ragioni della storia. E se la filosofia, con la sua pretesa all'universalità e la sua dimenticanza del singolo (questo singolo uomo) fosse malattia piuttosto che terapia? La filosofia nasconde in sé un'ossessione tipicamente metafisica. Nell'inseguire il fantasma di una realtà oggettiva che esisterebbe lì fuori, indipendentemente dal soggetto, la filosofia si fa interprete inconsapevole del nostro bisogno psicologico di 'contrapporre alcunché a noi stessi, di urtarci contro qualcosa'. Invece è evidente che non possimao conoscere se non ciò che contribuiamo a formare con gli strumenti conoscitivi di cui disponiamo: categorie, criteri, prospettive e prima ancora sentimenti, affetti. Ben poco resta dell'oggetto una volta che sia ridotto al suo 'in sé'. E quel che è peggio è che esso a quel punto sarebbe una cosa talmente opaca e inerte da risultare insignificante. A dover essere salvaguardato secondo Colorni è il legame essenziale fra conoscenza e impegno etico. Il punto è che noi siamo in grado di spezzare il circolo vizioso del solipsismo solo a patto di farci carico dell'esistente e del vivente. E' necessaria, dice Colorni, una 'presa affettiva'. Quella che si riassume in una parola, amore, e che comprende anche i suoi analoghi e contrari; l'odio, l'amicizia, il timore, la speranza, il piacere, il dolore. Conosce gli altri, dice Colorni, solo chi negli altri vede quel che vede in se stesso: l'arrischiato ma necessario sforzo volto ad afferrare la realtà investendola delle proprie emozioni e dei propri punti di vista. Altrimenti il mondo si fa vuoto, impenetrabile (e qui sembra di avvertire un'anticipazione di certe pagine di Sartre sulla 'nausea' o di Lévinas sull''opacità dell'essere'). Solo così si possono stabilire rapporti con coloro che erano solo degli estranei e degli sconosciuti (i testi, dirà in anni recenti il wittgensteiniano Stanley Cavell, sono testimonianze che vogliono essere credute e chiedono a noi di testimoniare per loro). Come si vede, e come Colorni scriverà in una lettera a Croce, egli non vuole demolire l'idealismo. Al contrario ne accetta l'idea di fondo, per cui la realtà non è se non realtà pensata, vissuta, anzi, amata (e odiata, temuta, desiderata). Ma nel momento in cui il soggetto che pensa, vive, ama, non è più lo spirito ma l'uomo così com'è, tutto cambia. All'universale si sostituisce la molteplicità delle vie e dei metodi. Al sapere sistematico, le scienze empiriche. E magari la letteratura, la poesia. Il filosofo comincia a guarire. A lui, una raccomandazione: 'Non si trincera dietro l'Io trascendentale, non risponda che il suo fatto personale non ha importanza. lo racconti a me, per farmi piacere'." (da Sergio Givone, La malattia dei filosofi e la critica di Colorni, "La Repubblica", 28/04/'09)
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1 commento:
Perche non:)
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