lunedì 20 aprile 2009

Montagne ribelli di Paola Lugo

"Sollievo di togliersi gli scarponi induriti, la sensazione del terreno sotto la pianta dei piedi, le fitte dei ricci di castagne e dei cardi selvatici ... quei calzettoni sfondati sugli alluci e sui calcagni ..." (da Italo Calvino, La strada di San Giovanni)

"Quando uscimmo dalla nebbia a quota tremila, sul versante nord del crinale si spalancò il biancore abbacinante dei ghiacciai svizzeri. Era l'estate 2003, l'intera Val d'Aosta era immersa nella bambagia e, in direzione ovest, verso il colle del Gran San Bernardo, una cresta seghettata come la mascella di un caimano scendeva fino a un gigantesco ghiacciaio portale serrato da baluardi di roccia: la Fenètre Durand. Un posto fuori dal mondo, coperto di muschio e fiori gialli, immerso in un silenzio rotto solo dai fischi delle marmotte. la sera, a Ollomont, mille metri più sotto, ci dissero che nel settembre 1943 Luigi Einaudi era passato di lì per riparare in Svizzera. Ci mostrarono una foto di quei giorni: il futuro presidente della Repubblica portava basco, alpenstock, braghe alla zuava e una giacca di tweed. Seduto su un prato, aspettava la guida che l'avrebbe portato oltre, e quella guida era uno dei massimi alpinisti italiani. Un mito, Ettore Castiglioni. La sua firma l'avevo trovata ovunque, sulle pareti più impervie tra le Dolomiti e il Bianco. Pochi mesi dopo quella trasferta partigiana, Castiglioni sarebbe morto nella tormenta sulle stesse cime dove s'era nascosto per portare all'estero oppositori politici ed ebrei in fuga. Insieme ad alcuni alpini, aveva scelto di andare in montagna, fuirse para el monte, per ritemprarsi dai lutti di un ventennio e ricominciare da zero una vita nuova. Erano passati sessant'anni, ma Einaudi e Castiglioni erano ancora lì, presenti, nella nebbia della Fenètre Durand. Quel sentiero in Valpelline parlava meglio di tanti libri e monumenti. La strada tra nebbia e ghiacciai diceva una cosa semplice: per capire dov'era nata, nei nostri padri, la scelta solitaria e irrevocabile di mettersi fuorilegge, bisognava sporcarsi gli scarponi, calpestare le mulattiere percorse, prima che dai partigiani, da contrabbandieri, vagabondi ed eretici. E magari capire che la Resistenza è una cosa che continua, contro nemici talvolta più infidi di allora: la pestilenza dello spopolamento, il globale che uccide le diversità, la burocrazia che massacra di divieti l'economia di quota: pastorizia, malghe, rifugi. Ed è quanto accade, finalmente. C'è in silenzio, una svolta nella memoria nazionale sul più bistrattato dei temi, la guerra di Resistenza. Dopo tanta retorica e tante polemiche, si torna ai luoghi, perché i luoghi - almeno quelli - sono indiscutibili. Le Langhe del partigiano Johnny raccontate da Fenoglio; le impervie valli bellunesi dove passò Luigi Meneghello, le Apuane arcigne del romanzo di James Mcbride; le scarpate liguri, piene di cardi e ricci di castagno, penosamente calpestate da Italo Calvino. Tornare dunque alle 'montagne ribelli'. Così le chiama Paola Lugo nel libro dallo stesso titolo che esce alla vigilia del 25 aprile per Mondadori. Camminare per ricordare, perché l'andatura è la base della narrazione e perché i partigiani, prima di sparare, camminarono disperatamente, macinarono chilometri in giorni e notti di paura, pioggia, solitudine, smarrimento, nel freddo bestia o nel caldo feroce dei canaloni. Camminare perché ricordare 'con i piedi', talvolta, è meglio che commemorare con le parole [...]" (da Paolo Rumiz, A piedi sui sentieri ribelli. Un altro modo di ricordare, "La Repubblica", 19/04/'09)

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