mercoledì 1 aprile 2009

Ritratto del dottor Gachet. Storia e avventure del capolavoro di Van Gogh di Cynthia Saltzman


"Il 3 giugno 1890 Vincent ritrasse il dottor Paul Ferdinand Gachet nel giardino della sua casa di Auvers-sur-Oise, la stessa cittadina dove il 27 luglio dello stesso anno si sarebbe tirato un colpo di pistola in un campo di grano. Vincent fece sedere il suo soggetto a un tavolino. Nel dipinto l'aria aperta e calma del giardino non si vede, né s'intende da dove venga la luce. Vincent ritrasse un «interno» e attraverso l'espressione di Gachet raffigurò l'afflitta melanconia dei tempi. Fu l'inizio di una formidabile vicenda che si compì esattamente cent'anni dopo, il 15 maggio 1990, in una sala senza finestre a un piano rialzato sul convulso traffico di Manhattan. Il Ritratto del dottor Gachet - lotto numero 21, olio su tela, 66 x 57 cm - venne venduto all'asta da Christie's per 82.500.000 dollari (il quasi impronunciabile ammontare in lire italiane: 90.825.040.000), il prezzo più alto mai pagato per un'opera d'arte. Il compratore un giapponese, Ryoei Saito, magnate della carta. Tredici, fino al nostro tempo, i «proprietari» del dipinto il quale, nella sua ineffabilità, di volta in volta, è lui a possedere il temporaneo custode. La veritable biografia di questo dipinto che girò per il mondo attraverso le tortuosità della storia, viene raccontata con abbagliante maniacalità in un libro da Cynthia Saltzman, una studiosa d'arte che vive a Brooklyn, (Ritratto del dottor Gachet. Storia e avventure del capolavoro di Van Gogh, trad. Clelia Bettini, in uscita da Einaudi). Quando Van Gogh morì, centinaia di sue opere giacevano in preda alla polvere in dispersi magazzini. Nessuno degnava quei quadri. Theo Van Gogh possedeva praticamente la totalità dei dipinti (sarebbe sopravvissuto a Vincent soltanto un anno), e in un estremo omaggio al fratello sepolto da pochi mesi nel cimitero di Auvers, organizzò una personale dell'«eredità» in un appartamento di rue Lepic, alle pendici di Montmartre. Tra altri quadri da capogiro, in quella mostra, i rarissimi visitatori videro anche il «dimesso» Ritratto del dottor Gachet. La vedova di Theo, Johanna Bonger, inconsapevole di custodire un tesoro proiettato nel futuro, assediata dall'ingombro delle opere del cognato, cercò di «realizzare». Si rivolse a Ambroise Vollard, il mercante parigino degli impressionisti, il quale, sconsolato, non sapeva proprio cosa farsene dei quadri di Van Gogh. Nessuno li voleva. Nel 1896 organizzò comunque una mostra e alla chiusura del tutto invenduto, acquistò per sé una decina di opere tra cui il piccolo ritratto del melanconico uomo anziano, offerto in galleria a trecento franchi. Ed è la somma che il 30 aprile 1897 pagò Alice Ruben Faber quando comprò da Vollard il Ritratto. La «prima collezionista» del dipinto amava la pittura. Si accontentò di un'opera a basso prezzo, quadri più cari non avrebbe potuto permetterseli. Lo acquistò come oggetto d'affezione, emozionandosi. Ogni opera d'arte è una trasposizione, il corrispondente emotivo di un'esperienza e Alice Ruben Faber comperò la melanconia di Gachet, recandola con sé nella sua casa di Copenhagen. La appese accanto al letto. Dopo qualche anno donò il quadro a un amico, Mogens Ballin che, nel 1904, lo cedette a un mercante di Berlino, Paul Cassirer. Allora in Germania si conoscevano soltanto sette Van Gogh in collezioni private. La fama di Vincent cominciava tuttavia a levitare. Si parlava del dipinto del dottor Gachet, ormai noto, come di un'opera dalla nervosa raffinatezza. Per tre anni il quadro sostò a Weimar sulle pareti di Harry Graf Kessler, un raffinato collezionista d'arte moderna. Nel 1910 era nuovamente a Parigi in vendita nella Galerie Eugène Druet. Aumentava di prezzo a ogni passaggio. Planò l'anno dopo a Francoforte, alla Städtelsches Kunstinstitut und Städtische Galerie, un museo che accoglieva soltanto opere d'arte riconosciute. Il destino del dottor Gachet a quel punto sembrava essersi compiuto. Ma, con le sue efferatezze, la storia oltre che sugli uomini incombe anche sulle loro opere. Nel 1937, trasferito forzosamente a Berlino dai nazisti, il dottor Gachet divenne uno dei segni distintivi dell'arte degenerata e fatto sparire. Finì nella mani di Hermann Göring, il più rapace ladro d'arte d'ogni tempo (possedeva, senza averli acquistati, 1375 dipinti, 250 sculture, 168 arazzi) che, facendosi pagare in valuta pregiata, nel 1938 vendette il Van Gogh a un gallerista di Amsterdam, Franz Koenigs, da cui comprò il dipinto Siegfried Kramarsky, un facoltoso ebreo tedesco in procinto di lasciare l'Europa a seguito delle leggi razziali. Il Ritratto attraversò l'Atlantico e approdò a New York, a lungo chiuso in una cassa nel magazzino della Duveen Brothers al 720 della Fifth Avenue. I Kramarsky, sistemati in un appartamento nella zona occidentale di Central Park con vista sul parco, recuperato il dottor Gachet, lo ospitarono in salotto. Qui l'ormai celebrato dipinto di Van Gogh sostò per quasi mezzo secolo. Per alcuni periodi fu consentito in prestito al Metropolitan Museum. Gachet attraversava la strada per passare un po' di tempo nel prestigioso museo di fronte a casa, ed essere ammirato da moltitudini. Poi l'asta da Christie's nel 1990. La partenza per il Sol Levante. Collocazione ignota. Da oltre un secolo, al di là della sua odissea, il dipinto ristà. Immutata l'ineffabile melanconia di Gachet. Eppure il quadro non è mai stato la stessa cosa. Ha cambiato di senso per quanti lo hanno «posseduto». Fu oggetto di passione, formula di rivoluzione artistica. Prodotto da promuovere per i mercanti d'arte, divenne simbolo di successo economico, orgoglio nazionale. Nei primi decenni della sua esistenza era allegoria di piacere estetico declinato sulle ambizioni culturali, poi mutò in investimento che potesse essere trasferito facilmente da un luogo all'altro quando il danaro traballava, sprofondato in una delle sue periodiche crisi. stato emblema di potere. Passabilmente offerto a garanzia di chissà quali spericolate e segrete operazioni speculative. Il dottor Gachet, con occhi desolati e scettici, continua imperturbabile a guardare chi lo guardi. Così, come lo fermò Van Gogh nel calmo giardino di Auvers-sur-Oise. Emulsiona l'afflizione dell'uomo di ogni tempo. Riflessa nel nostro." (da Giuseppe Marcenaro, Il medico di Van Gogh ha fatto 13, "TuttoLibri", "La Stampa", 28/03/'09)

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