sabato 18 aprile 2009

La grande storia del Tamigi di Peter Ackroyd


"Tra i fiumi famosi che hanno cullato le civiltà umane il Tamigi è uno dei più corti, solo 345 chilometri; i più lunghi, ossia il Rio delle Amazzoni e il Mississippi, superano i 6000. Ma trecento di questi chilometri sono sempre stati navigabili, e risalendo l’estuario nel Mare del Nord si arriva a un comodo porto naturale che nell’Ottocento arrivò a essere il più grande e trafficato del mondo.
Il nome è antichissimo: Tamesa per gli indigeni, Thamesis per i romani, potrebbe derivare dal celtico tam, «esteso», più esa, «acqua corrente». Ma c’è anche un termine pre-celtico, indoeuropeo, Tamasa (così si chiama un affluente del Gange), che significa «scuro», con una sfumatura di sacro rispetto («temere», «timore»).
I più antichi insediamenti lungo le sponde del Tamigi, largamente documentabili, risalgono al neolitico, 3500 anni avanti Cristo, ma la principale città che il Tamigi avrebbe nutrito e in molti modi spinto verso la grandezza cominciò a esistere molto più tardi, fondata probabilmente dai romani, anche se il suo nome sembra anch’esso di origine celtica, forse da llyn-din, «collina presso l’acqua». Non c’erano abitazioni là dove Cesare attraversò il Tamigi, presso l’attuale Westminster; e quando Claudio occupò stabilmente la Britannia, la capitale che conquistò era Colchester. L’insediamento romano sul Tamigi nacque in quest’epoca e prosperò rapidamente; è affascinante l’ipotesi avanzata da Federico Zeri, che la sua prima raffigurazione rimastaci sia l’affresco con una città fluviale recentemente scoperto nella neroniana Domus Aurea. Se questo affresco davvero rappresenta Londinium, Peter Ackroyd rimpiangerà di esserselo fatto sfuggire dalla sua rivisitazione del Tamigi in tutti i suoi aspetti possibili e immaginabili, La grande storia del Tamigi, in libreria dal 23 aprile per Neri Pozza (trad. di Roberto Serrai, pp. 512, e 24). Prolifico romanziere e biografo, autore di un meraviglioso volume sulla città di Londra ieri, oggi e in ogni epoca, al fiume di Londra Ackroyd dedica ora più che uno studio o un ritratto, una enciclopedia articolata in numerosi capitoli brevi ma assai densi e sempre documentatissimi, spesso insaporiti con citazioni da letture inconsuete. I capitoli sono raggruppati in settori, e ciascuno copre un arco storico. Per esempio l’inizio, dedicato all’aspetto sacro del fiume, comincia con l’antichità (maghi, indovini, druidi, sacrifici umani) e continua col Medioevo (santi, monasteri, culto della Vergine Maria cui sono dedicate più di cinquanta chiese), per arrivare ad epoche più recenti, quando la via d’acqua diventa percorso di fastose processioni regali. Viene poi il settore-lavoro, col catalogo delle varie imbarcazioni tipiche del fiume - chiatte, traghetti, bettoline... -; con la rassegna dei ponti, dai resti del più antico (a Eton, Età del Bronzo) al più moderno (il Millennium Bridge tra la City e la Tate Modern, 2002), passando naturalmente per il mitico London Bridge, per secoli unico di Londra città, sul quale una volta si ergevano abitazioni e botteghe, e dove erano sempre esposte le teste mozzate dei delinquenti. Sono quindi catalogati i lavoratori del fiume - barcaioli, pescatori, scaricatori, magazzinieri - e sono rintracciate alcune famiglie di questi che hanno mantenuto le stesse mansioni e più o meno le stesse residenze anche per cinque secoli. La sezione dedicata al commercio comincia con le duemila imbarcazioni che ogni giorno percorrevano il Tamigi negli anni 1720, secondo la testimonianza di Daniel Defoe, e continua con la descrizione di grandiose opere (bacini, chiuse...) compiute in vari periodi per controllare le piene e favorire i traffici; si parla dell’avvento del vapore, e della lotta che a un certo punto si svolse tra i trasporti fluviali e la ferrovia. Tocca quindi alla natura: i venti caratteristici del Tamigi, le piene, le gelate un tempo così intense, oggi rese impossibili dal più agile scorrimento delle acque; gli alberi, compresi quelli fossili, di età preistoriche, e la fauna caratteristica, in cui spiccano i misteriosi e un tempo diffusissimi cigni. C’è una zona dedicata agli svaghi, come le gite: tra le tante se ne ricorda una del 1555, organizzata da un intraprendente signore per portare a Oxford coloro che volevano assistere al rogo dove si bruciarono due vescovi cattolici. Si rievocano i parchi e i giardini privati un tempo disseminati lungo le rive; si ricordano le regate e altri avvenimenti sportivi molto seguiti dalla popolazione - la sfida remiera tra Oxford e Cambridge risale addirittura al 1829. C’erano anche passatempi più grevi, feste ribalde, fiere frequentate da ogni sorta di farabutti, bordelli. Ma non tutto è ameno sul fiume, che in certi periodi fu una vera fogna a cielo aperto, tanto che a metà del secolo scorso non vi si trovavano quasi più pesci; adesso però grazie agli impianti di filtraggio se ne sono ripresentate diverse specie. Non poteva mancare, infine, una ricca sezione dedicata ai rapporti del Tamigi con l’arte. Tra i pittori che raffigurarono appassionatamente l’almo corso d’acqua la palma va a Turner, che tra l’altro visse sempre a poca distanza dalle sue rive; lo segue l’americano Whistler, che è addirittura sepolto vicino al Tamigi, a Chiswick. Tra i letterati la fila è più lunga, e comprende John Camden (Britannia, 1586), Dickens, Conrad, Lewis Carroll e Jerome K. Jerome, narratori questi ultimi di due gite celeberrime, quella dove nacquero le storie di Alice e quella di Tre uomini in barca, classico dell’umorismo e del turismo fluviale. Tra i molti poeti spiccano, dopo Pope che ebbe una celebre villa con giardini a Twickenham, Shelley e il barcaiolo-verseggiatore John Taylor." (da Masolino D'Amico, Da Cesare alla City in barca sul Tamigi, "TuttoLibri", "La Stampa", 18/04/'09)

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