lunedì 6 aprile 2009

Matrix. Neo l'eletto figlio di Philip Dick


"Slavoj i ek ha raccontato di avere avuto l'eccezionale privilegio di vedere Matrix in compagnia di quello che, a suo dire, è lo spettatore ideale del film: un idiota. A quanto pare, il giovanotto che sedeva accanto al filosofo sloveno era così preso dalal visione da prorompere continuamento in sonore esclamazioni del tipo: "Mio dio, allora non esiste nessuna realtà!". Posto che sia davvero questo lo spettatore ideale, se ne dovrebbe concludere che il mondo pullula di idioti. Coemn spiegare altrimenti le montagne di dollari piovute addosso ai fratelli Wachowski dal 31 marzo di dieci anni fa, giorno in cui Matrix uscì nelle sale americane? Il segreto del suo successo consiste in buona parte nel modo in cui stuzzica il filosofo dilettante che sonnecchia in ognuno di noi. Alzi la mano chi, almeno una volta, non ha desiderato di risvegliarsi dalla dura realtà quotidiana alla stessa maniera in cui ci si risveglia da un brutto sogno. Di questo, in sostanza, parla il film. La sostanza nuda e cruda, però, non basta. E' dai tempi di paltone, forse addirittura prima, che l'umanità si lambicca sulla reale consistenza di ciò che percepiscono i nostri sensi. E infatti, in Matrix, la sostanza nuda e cruda è infarcita di tante altre cose. Cose che spaziano dai videogiochi al buddismo zen e consentono al film di funzionare come una sorta di test di Rorschach, buono sia per idioti che cervelloni. Insomma, ognuno può vederci quello che vuole perché dentro c'è di tutto. C'è dentro tanta di quella roba che è un vero miracolo che il film stia in piedi. Miracolo in senso lato, ben inteso. Perché a voler essere onesti, l'intelaiatura che tiene insieme i pezzi del rutilante mosaico è un regalo dello scrittore più saccheggiato da Hollywood negli ultimi trent'anni: Philip K. Dick, l'uomo senza il quale film come Blade Runner, Minority Report, Vanilla Sky, The Truman Show non avrebbero mai visto la luce. Delle tante pellicole che per vie più o meno traverse discendono dalla sua opera, Matrix è quelo che più gli deve e che meno gli ha riconosciuto. Mezzo secolo fa, nel lontano 1959, Dick raccontò la storia di un uomo che scopre di essere al centro di un gigantesco complotto. La paciosa e idilliaca cittadina di provincia in cui costui crede di vivere non è che una messa in scena, un involucro fittizio creato per tenerlo lontano dalla guerra che infuria all'esterno e consentire all'esercito di sfruttare i suoi latenti poteri di chiaroveggenza senza che lui se ne renda conto. L'analogia con lo scenario di Matrix è fin troppo palese. Ma c'è di più. Parecchi anni dopo, nel 1974, Dick fu a tal puto sconvolto da una serie di esperienze e visioni mistiche da convincersi una volta per tutte che la 'matrice spazio-temporale' del mondo è soltanto un'illlusione, un ologramma. [...]" (da Tommaso Pincio, Matrix. Neo l'eletto figlio di Philip Dick, "La Repubblica", 04/04/'09)

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