Biblioteca civica "MINO MILANI" bibliogarlasco@yahoo.it tel. 0382/801009 "Le paradis, à n'en pas douter, n'est qu'une immense bibliothèque" (Gaston Bachelard) SELEZIONE DI ARTICOLI SULL'UNIVERSO-LIBRO
lunedì 6 aprile 2009
Tutti i racconti di Anita Desai
"Anita Desai è come ce la si aspetta: il viso dolce, affabile di indiana, dal tenue color caffelatte, però, — non per niente la mamma era una pallida tedesca di Berlino — le mani morbide, la voce giovane, da ragazza, nonostante sia ampiamente nonna, il sari naturalmente e le ciabatte infradito ai piedi malgrado questa fresca primavera parigina. Soprattutto, però, è quieta, sorridente e sapiente come lasciavano immaginare i suoi romanzi (Un percorso a zigzag, il più recente; Notte e nebbia a Bombay, il più famoso) e i suoi racconti, pubblicati in questi giorni da Einaudi in un volume che ne raccoglie una ventina, Tutti i racconti. Forse la maggiore scrittrice indiana vivente, che divide l’anno tra New Delhi, dove sono rimasti due dei suoi quattro figli, e gli Stati Uniti, dove si sono trasferiti gli altri due — di cui una a sua volta scrittrice — e dove ha insegnato per dieci anni scrittura creativa al Massachusetts Institute of Technology («Sì — sorride quasi ancora incredula — i fisici, i chimici, i matematici, i biologi, gli astronomi del Mit sentivano il bisogno di un po’ di materie umanistiche»), è a Parigi per una lezione alla Sorbona e, perfettamente in linea con l’immagine che se ne aveva, è scesa in un piccolo, modesto «due stelle» a un passo dall’Università. Nonostante la doppia vita che conduce da ben quindici anni, a parte poche eccezioni, le sue storie sono sempre ambientate in India: parlano di case e di famiglie, di oggetti e di ricordi, di usi antichi, di tradizioni ancora vive e di quelle avviate a morire che, morendo, a volte lasciano gli uomini smarriti e insicuri. «Non per questo — dice pensierosa — voglio a tutti i costi conservare il passato, non rimpiango ciò che è finito né credo a perdute stagioni dell’oro. Il tempo non si può fermare, è un mulino che macina, le tradizioni antiche devono pian piano svanire e gli uomini non possono che adattarsi continuamente a quelle nuove. In questo senso, forse, trova ragione d’essere la mia scrittura: può aiutare il lettore a non dimenticare il passato, a comprenderlo anche, per meglio comprendere il presente. E in India, così tanto del passato è ancora presente! Ma scrivo dell’India anche per un motivo molto più banale: perché lì capisco tutto, tutto mi è chiaro, non devo sempre chiedere come mi succede in America». Nei sobborghi di New York dove trascorre molti mesi dell’anno, continua, infatti, a sentirsi straniera. Per come vive, per come pensa, per come mangia, per come, a volte, si veste (con il sari appunto, di tanto in tanto) e, naturalmente, per il colore della pelle. Ma il motivo vero è forse diverso e più profondo: «Probabilmente sta nel fatto — spiega Anita — che l’America ha poche tradizioni e quelle poche sono così 'brevi' rispetto alle nostre». Per la ragione opposta si trova tanto bene in Messico, dove da tempo affitta una casa in mezzo alle montagne per scrivere in pace: come l’India è, infatti, un paese di antichissima storia tuttora presente e visibile. «C’è da dire però — aggiunge — che lì mi sento meno estranea anche perché di solito mi prendono per messicana». Per un verso o per l’altro i libri e i racconti di Anita Desai hanno tutti una forte impronta autobiografica: personaggi, luoghi, situazioni sono in gran parte tratti dalla sua realtà. E anche quei rari testi ambientati piuttosto in America riportano quasi sempre vicende di immigrazione e di spaesamento che s’indovinano facilmente viste o vissute in prima persona. Del resto, lo rivendica con passione: «La scrittura deve narrare prima di tutto la verità, solo la verità, deve raccontare il mondo come è. L’invenzione, la fantasia hanno ovviamente il loro ruolo, ma per me possono essere soltanto marginali».
In questo modo la scrittrice ha narrato, romanzo dopo romanzo, la sua vita, la sua storia e quella della sua famiglia, i parenti, gli amici, i luoghi, le case e i paesaggi, le innumerevoli partenze e gli altrettanti ritorni. Come i personaggi di molti suoi libri Anita Desai ha uno sguardo doppio, nel senso che è in grado di guardare due continenti con occhi di chi ci vive e di chi invece li osserva dall’esterno. Giudica l’India e giudica l’America, entrambe tuttavia con l’indulgenza e la saggezza che le sono proprie. «Il vero problema dell’India — spiega — è il numero sterminato dei suoi abitanti per cui ogni cambiamento, ogni progresso, anche sostanziale, riguarda sempre soltanto una sparutissima minoranza. C’è troppo poca acqua e troppo poco cibo per tutti quanti. La ricca borghesia di Delhi e di Mumbai, la nuova classe di professionisti intraprendenti che fanno innalzare il Pil delle metropoli? Cosa vuole che contino nell’immensità di un paese povero e arretrato dove si combattono guerre con il pretesto della religione, della razza e dell’appartenenza a un clan o a una classe sociale, che in realtà sono soltanto guerre di chi non ha niente contro chi ha un poco più di niente? ».
Ciò non toglie che la scrittrice continui a confidare in un cambiamento di cui avverte alcuni segnali: il tradizionale fatalismo e la rassegnazione degli indiani, per esempio, non sono, secondo lei, più quelli di un tempo e un po’ alla volta lasciano posto ad atteggiamenti diversi, più determinati e volitivi. E la natalità comincia, sia pure lentamente, a decrescere perché le famiglie, anche le più povere, non più necessariamente impiegate nel lavoro dei campi, si rendono conto che otto, dieci figli non costituiscono una ricchezza bensì un peso. E stanno cambiando le donne, anche in India. «È il lavoro femminile il lievito del cambiamento» afferma Anita pur non dimenticando che spesso rende la vita delle donne ancora più faticosa: «Per un verso mette loro in mano dei soldi, il che le rende automaticamente più autonome, anche in famiglia; per l’altro, fa comprendere loro che, per ottenere posti migliori, hanno bisogno di istruzione. È questa la grande sfida che l’India deve affrontare e, se c’è richiesta, se c’è pressione, il governo prima o poi dovrà fare qualcosa per migliorare lo standard dell’istruzione femminile, tuttora assai modesto». Personalmente, Desai è stata un’apripista visto che già cinquant’anni fa lei e le sue sorelle non solo sono state incoraggiate a studiare ma anche a lavorare. Merito della mamma berlinese? «No — sorride —, merito del papà il cui chiodo fisso era che le femmine dovessero essere indipendenti. Nostra madre, a dire la verità, era la più tradizionalista tra i due, voleva che pensassimo a famiglia e figli. Io e le mie sorelle abbiamo accontentato entrambi i genitori».
Sulle difficoltà dell’America, sulla crisi economica che vi infuria, sulle migliaia di disoccupati ridotti in miseria, sui tanti che hanno perso la casa non spende, per contro, molte parole: «Avevano così tanto prima — sussurra con un filo di voce, quasi si vergognasse del suo scarso spirito di solidarietà — e per il momento non hanno un’idea di cosa voglia dire essere davvero poveri, senza nulla da mangiare, cioè. In India, invece, tutto questo lo si conosce anche troppo bene».
Due mondi contrapposti, dunque, Oriente contro Occidente? «Non direi. Piuttosto l’Oriente che guarda all’Occidente nel tentativo di imitarne lo sviluppo, risultato delle sue caratteristiche forti come l’intraprendenza, la speranza, l’ambizione. E, dall’altra parte, l’Occidente che si volge indietro all’Oriente vedendo, non senza rimpianto, quel che lungo i secoli ha perduto: la spiritualità, la resistenza alle spietatezze della vita, la custodia delle tradizioni. Due culture diverse, certo, però ricordiamoci che le culture non sono un marchio di fabbrica con il quale si nasce bensì il risultato delle condizioni nelle quali ci si trova a vivere»." (da Isabella Bossi Fedrigotti, Anita Desai. Il femminismo con il sari. Le donne salveranno l’India, "Corriere della Sera", 06/04/'09)
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