sabato 4 aprile 2009

Principianti di Raymond Carver


"Di cosa parliamo quando parliamo di Raymond Carver? Ora sappiamo che la raccolta che lo consacrò nel 1981 come maestro della short story di un genere nuovo doveva moltissimo al lavoro di forbici di un editor chiamato Gordon Lish, suo amico e scrittore a sua volta, nonché all’epoca alle dipendenze di Knopf, che pubblicò il libro. Lish ridusse drasticamente tutti i racconti, alcuni addirittura del settanta per cento; cambiò anche molti titoli, a partire da quello del penultimo racconto e dell’intero volume. Carver accettò i tagli ma con molti patemi, e con una lettera torrenziale cercò all’ultimo momento di distogliere l’amico dal praticarli, né consentì interventi sulla sua raccolta successiva, Cattedrale, per la quale infatti i critici parlarono di una sua maniera rinnovata. Oggi Einaudi pubblica i testi dei racconti così come Carver li aveva scritti, ricostruiti sul dattiloscritto sotto le cancellature di Lish e ritradotti da Riccardo Duranti che aveva curato anche la prima edizione italiana. Per noi lettori c’è l’imbarazzo su come comportarci. Dobbiamo buttare via la prima edizione, intitolata Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, come spuria? Dobbiamo giudicare Carver in base a questa integrale e dimenticarci l’effetto che ci fece allora? O dobbiamo tenere entrambi i libri, magari giocando a confrontarli? Questo gioco può dare persino delle sorprese. Prendiamo per esempio uno dei racconti più ricchi di «fatti» anche nella versione mutilata, quello che comincia col narratore che ha sorpreso la madre sessantacinquenne a sbaciucchiarsi con un estraneo. La versione Lish si intitola Il signor Aggiustatutto e le macchinette del caffè, quella Einaudi Che fine hanno fatto tutti?: quattro pagine di piccolo formato nella vecchia edizione Minimum Fax, quattordici fitte in quella odierna. Ebbene, chi si sarebbe immaginato che tra i brani tagliati ci fosse addirittura una reminiscenza da Italo Svevo? Parlando dell’avversione per i propri figli, il protagonista si augura di poter avere in punto di morte l’energia di schiaffeggiarli proprio come fa il padre di Zeno Cosini in una scena famosa del romanzo che costui ha letto da giovane, prima di diventare alcolizzato. Ma forse il punto non è se scegliere quale dei due libri sia migliore, e nemmeno quale Carver sia più Carver. Entrambi i testi hanno il loro interesse. Le parti omesse non appaiono affatto inferiori a quelle rimaste, Lish non fece una scelta mirante a lasciare solo il meglio, anche se spesso i suoi finali sono più incisivi di quelli di Carver. I testi più diffusi si leggono con piacere perché sempre scritti da un autore di grande personalità e nel pieno controllo del suo strumento espressivo; e saperne di più, adesso, su tanti suoi personaggi non ci dispiace affatto, anche se forse non rimpiangiamo di avere ignorato fino a oggi che l’uomo cornificato a suo tempo dal padre del narratore di Sacchetti (ora si chiama L’avventura) dopo avere pianto ed essere entrato in depressione sentendosi tale si era addirittura suicidato pugnalandosi un’infinità di volte con un temperino. D’altro canto i racconti all’osso della versione Lish hanno una forza innegabile, che nasce da quello che in teatro si chiama sottotesto: i personaggi sanno qualcosa che noi ignoriamo, hanno avuto esperienze che noi non conosciamo, ma che li hanno plasmati e che influenzano il loro comportamento. Leggere il Carver restaurato dopo quello di Lish insomma è un po’ come apprendere finalmente che cosa aveva fatto Amleto a Vittemberga, o come si era innamorato di Ofelia." (da Masolino D'Amico, Carver ritrova il suo temperino, "TuttoLibri", "La Stampa", 04/04/'09)

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