lunedì 27 aprile 2009

Di' che sei una di loro di Uwem Akpan


"In un ideale atlante letterario, non meno che storico e politico, dell’Africa contemporanea, la Nigeria continua a occupareunposto cruciale. La raccolta di narrativa breve in inglese di Uwem Akpan, Di’ che sei una di loro (Mondadori), ce lo conferma vigorosamente. Akpan, un giovane gesuita nigeriano che insegna ora in un seminario nello Zimbabwe dopo aver completato i suoi studi negli Stati Uniti, incarna una nuova fase, insieme tradizionale e sperimentale, della cultura letteraria nigeriana, quella che, per intenderci, da Achebe, da Tutuola e da
Soyinka arriva a Ben Okri. I cattolici nigeriani sono una compatta e a suo modo problematica minoranza, concentrata nel Biafra: non a caso, durante la sanguinosa e crudele guerra civile, mentre l’occidente sostenne largamente la Nigeria, accanto al Biafra, oltre alla Francia, si schierò il Vaticano. Il cattolicesimo di Akpan lo preserva da ogni residuo tribale in senso stretto, e gli consente una lucidità di visione e di rappresentazione che definirei, gobettianamente, inesorabile. In un paese inventato nell’Ottocento dai Paesi colonialisti a cominciare dal suo stesso nome, le contraddizioni più laceranti sostanziano la stessa condizione esistenziale, i conflitti non di rado insanabili. Akpan ha scelto, con una singolare lievitazione del linguaggio, reso assai efficacemente in italiano da Micol Toffanin, di non indulgere ad alcuna soluzione consolante e - ciò che ha sorpreso qualche recensore americano -, tale da compiacere il lettore occidentale. Ecco lo spietato racconto di apertura, Cena di Natale, ove a Nairobi, in Kenya (Akpan spazia oltre confini definiti) una famiglia vive grazie ai guadagni della figlia, una prostituta dodicenne. Grazie a lei il fratellino potrà nutrirsi, e addirittura frequentare la scuola. In Carri funebri di lusso, un romanzo in nuce, questa volta in Biafra, un giovane musulmano cerca scampo in un autobus, per non farsi riconoscere e nascondendo il moncherino di una mano, amputata per effetto di una condanna per furto. Finisce in una strage, ma anche qui padroneggia alla grande la condizione, insieme quotidiana e emblematicamente simbolica, dell’assurdo, un assurdo universalizzato.
Una diversa gestione dell’assurdo si coglie in un altro significativo
tassello di questo atlante africano, collocato qui in Sud Africa, ad opera di uno scrittore di ascendenza indiana, Renesh Lakhan. Nel suo romanzo I burattinai (Socrates), assurdo istituzionale è, chiaramente, l’apartheid, che peraltro va ben oltre la pura categoria della politica. Il protagonista e narratore del romanzo, figlio di un matrimonio misto - padre bianco, madre nera - negli Anni Trenta, combatte fin dall’infanzia per una ricerca di identità che sembra illusoria, non meno dell’innocenza. In effetti, il libro si apre nel marzo del 1996, quando Sunny, sessantenne, ricco, si è gettato alle spalle, o crede di averlo fatto, la sua infanzia e la sua adolescenza di povero emarginato. Ora si è addirittura candidato a sindaco di una cittadina: così, oltre al benessere, ecco il potere. Da ragazzo, Sunny ha studiato, si è innamorato dei libri, specie di avventura, come La freccia nera di Stevenson, e con la fantasia ha anticipato, ha costruito il futuro. Due donne hanno inciso su di lui: Jennie, la compagna di scuola seducente e imprevedibile, e la signorina Lindsay, insegnante anticonformista, spregiudicata: i burattinai del titolo, i manipolatori che si battono con tutte le armi possibili per affermarsi in una società abnorme, o, se volete, assurda. Inesorabilmente malata, la signorina Lindsay recita la sua parte fin quando la paralisi non la colpisce, cimentandosi attivamente nel teatro. In quanto a Jennie, è morta per mano sua e ora, alla vigilia del successo, il passato si ripresenta, e Sunny deve pagare il prezzo. I burattinai, ovvero le burattinaie, hanno vinto. Sunny diventa l’emblema dell’assurdo sudafricano, e nongli resta altro che confessarsi. Lo fa in un inglese nervoso, intriso da afrikaans, abilmente reso dalla traduttrice come Akpan vertiginosamente impasta nell’inglese swahili e idiomi locali.
Per contrasto, voglio chiudere il mio atlante africano con una vera e propria favola, di autore inglese ormai trasferitosi in Australia, Nicholas Drayson, ma vissuto in Kenya, dove è ambientato il suo romanzo Guida agli uccelli dell’Africa orientale (Piemme). Zoologo, Drayson si affida a una simbologia animale - gli uccelli - per raccontare una storia di amore e di avventure quotidiane con ironia mai prevaricatrice. Il suo signor Malik, sfortunato ma alla fine amabile vincitore, e il play boy Harry Khan sono una coppia di personaggi irresistibili, in una magia a portata di mano ma non per questo futile. Vola, come i suoi uccelli." (da Claudio Gorlier, Il gesuita confessa l'Africa assurda, "TuttoLibri", "La Stampa", 25/04/'09)

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