lunedì 4 agosto 2008

Visioni di James G. Ballard


"Chi si ostina a negare sostanza letteraria e capacità visionaria alla miglior fantascienza sfogli con attenzione Visioni di J. G. Ballard (Shake), una raccolta di saggi e aforismi, riflessioni e confessioni nella quale l’autore di Crash e L’impero del sole (portati sul grande schermo, l’uno da Cronenberg e l’altro da Spielberg) analizza le matrici e le ragioni della sua narrativa. Un volume splendido di cui si vorrebbero citare molte pagine, a cominciare dalle prime righe del pezzo di apertura: 'Credo nel potere che ha l’immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro di noi, di cacciare la notte, di trascendere la morte, di incantare le autostrade (...). Credo nelle mie ossessioni, nella bellezza degli scontri d’auto, nella pace delle foreste sommerse, negli orgasmi delle spiagge deserte, nell’eleganza dei cimiteri di automobili, nel mistero dei parcheggi multipiano, nella poesia degli hotel abbandonati'. In nuce, queste poche frasi sono un preciso manifesto di poetica, l’ossatura di un percorso narrativo che dagli iniziali territori più classicamente fantascientifici sfocia gradualmente in Ballard negli spazi di una postmodernità sommessa e ineluttabile più che apocalittica, in un quadro della condizione umana che si tende a etichettare come 'narrativa d’anticipazione' ma che di fatto sbatte in primo piano gli anfratti più sommersi e oscuri del nostro presente. Nel parlarne e nello scriverci attorno, Ballard non è mai arrogante né fumoso, mai profetico ma sempre fattuale, mai allucinato ma sempre lucido, magari con un pizzico di saggezza orientale (è nato a Shanghai) e di britannico humour (abita da anni a Shepperton, a poche miglia da Londra). Non è né hippie né beat, né un rivoluzionario utopico né un contestatore. Beve, ma con giudizio, e non fa uso di droghe. Ricorda con sgomento il suo unico repellente esperimento con l’Lsd. Ama il matrimonio e consiglia anche ai pluridivorziati di riprender moglie; è critico nei confronti del Sessantotto, che permetteva il superamento dei tabù e l’immaginazione al potere e ha finito per corrodere e cancellare il desiderio, ridurre il campo dell’inesplorato e ingabbiare lo slancio verso l’oltre in unreticolo di convenzioni; ma teme come la peste la gentrification, il benessere liquido e uniforme cui aspira la middle-class di tutto il mondo. Le villette a schiera sono la variante linda delle apartment-houses, dei condomini labirintici, delle megalopoli. Alla resa dei conti, tutto per lui si riduce a una serie di antinomie. C’è un 'villaggio mediatico' nel quale qualcuno vuol costringerci a vivere, e c’è un 'villaggio mentale' nel quale vogliamo e abbiamo bisogno di vivere. C’è uno 'spazio interiore' che vorremmo espandere e, soprattutto, sondare; e c’è uno 'spazio socioabitativo' nel quale finiamo sempre perversamente per incastrarci. E dunque ci sono arti e scienze che si misurano con le apparenze e arti e scienze che scavano sotto la superficie, alla ricerca di realtà più sostanziose e affascinanti. La psicoanalisi contro la fisica, il surrealismo contro il pop, la narrativa fantastica contro la narrativa realistica. La percezione contro l’osservazione. Se così stanno le cose, lo statuto e il ruolo della fantascienza più autentica sono ancor oggi fraintesi. La SF non è affatto un ghetto, bensì il mainstream più vitale. Basti pensare ad Anthony Burgess, Doris Lessing o Kingsley Amis i cui simmetrici nel campo delle arti visuali sono per Ballard, Max Ernst, Delvaux, De Chirico o Dalí. Sono costoro ad aprire crepe e fessure nella muraglia di un altrove che non è il futuro bensì un presente segreto, latente da sempre nelle nostre memorie e nelle nostre pulsioni, nei nostri sogni e nelle nostre ossessioni." (da Ruggero Bianchi, Più visioni hai e più sei saggio, "TuttoLibri", "La Stampa", 02/08/'08)

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