lunedì 25 agosto 2008

La storia dei Britanni narrata da Beda nel secolo VIII


"Non è un'edizione critica, di quelle cioè che tengono conto di tutti i manoscritti confrontando le varianti una per una, perché sarebbe un lavoro titanico: l’Historia ecclesiastica gentis Anglorum di Beda fu una delle opere più popolari del Medioevo, e ne rimangono più di centosessanta codici. Ma è comunque una decisione felice quella della Mondadori e della Fondazione Lorenzo Valla, di pubblicare nella bella collana dei classici la più importante opera del grande monaco inglese (e sia lode anche alle fondazioni bancarie che, di questi tempi, hanno saputo sostenere finanziariamente l'impresa). Edita da Michael Lapidge sulla base dei sei manoscritti più antichi e con uno sforzo costato vent'anni di lavoro, accompagnata da un saggio introduttivo che da solo è vasto quanto un libro, e godibile anche nella traduzione d'un filologo come Paolo Chiesa, l'opera a dire il vero non è affatto una Storia degli inglesi come recita il frontespizio in omaggio a un gusto modernizzante. Beda non vuol essere uno storico generalista, ma uno specialista che studia la storia del Cristianesimo e della Chiesa, e non è colpa di chissà quale ottusità medievale se nel suo libro si incontrano solo marginalmente le vicende dell'invasione anglosassone della Britannia e le successive imprese politiche e militari dei re, mentre al centro di tutto sono le attività dei missionari e poi dei vescovi, e il loro costante rapporto con Roma. Proprio questo rapporto, fecondissimo sul piano organizzativo come nell'orizzonte culturale, costituisce il vero asse portante dell'Historia ecclesiastica. E questo potrebbe anche sorprenderci: dopo tutto, la Britannia era un'isola lontana, sperduta tra le nebbie d'un Nord leggendario e i pericoli dell'Oceano. I suoi abitanti, insieme a quelli dell'ancor più lontana Islanda, sono i soli che nell'Alto Medioevo si siano ingegnati (peraltro con ottimi risultati!) di creare una vasta letteratura nella loro lingua germanica, il che può far pensare a una scarsa familiarità col latino e a un'irrimediabile separazione dal mondo mediterraneo. In realtà non è così e Beda, che passò tutta la vita nei due monasteri gemelli di Wearmouth e Jarrow, nell'estremo Nord dell'Inghilterra, oltre a scrivere un ottimo latino secondo le convenzioni della sua epoca mantiene con Roma un interscambio vitale, al punto di inserire nella sua opera un opuscolo e diverse lettere di papa Gregorio Magno, che un amico ha trascritto per lui negli archivi della Chiesa romana. Tutto questo potrebbe stupire chi pensa alla Roma di quell'epoca (Beda muore nel 735, pochi anni prima della nascita di Carlo Magno) come a un relitto alla deriva, dopo l'immenso naufragio delle invasioni barbariche. Roma, ci dicono con compatimento gli specialisti della sua storia, aveva appena 50.000 abitanti, quando sotto Augusto ne ospitava un milione! Sia pure: ma una città di cinquantamila abitanti, in quel mondo completamente ruralizzato, era ancora un gigante, oggetto di meraviglia per i pellegrini che continuavano a spingersi fin lì da tutta la Cristianità. Era un centro culturale dove gli abati dei monasteri inglesi andavano a comprare libri, riportandone in patria interi carri. Ed era una città sospesa fra due mondi: se la sua influenza religiosa era sensibile quasi soltanto in Occidente, Roma apparteneva però ancora all'impero d'Oriente, era spesso governata da papi greci o siriani, e ospitava un clero multietnico, depositario di complesse tradizioni. Proprio due esponenti di quel clero colto ed esotico vennero mandati dal Papa in Britannia, negli anni in cui nasceva Beda, per riorganizzare quella chiesa di frontiera: un greco di Roma, Teodoro, del monastero di Sant'Anastasio, e un greco d'Africa, Adriano, fuggito dalla Libia davanti all'invasione araba, e divenuto abate del monastero di Nisida presso Napoli prima di ripartire per dirigere una scuola a Canterbury. Itinerari straordinari che aiutano a capire la sopravvivenza d'un nucleo vivo di cultura classica anche in quelli che gli storici d'Oltremanica continuano per abitudine a chiamare Dark Ages, secoli bui. Ma è dall'esperienza di vita della sua gens, i crudeli invasori anglosassoni solo da poco cristianizzati, che Beda trae la più famosa delle sue immagini. Quando il re Edwin discuteva coi suoi capi se convertirsi alla nuova religione, uno di loro disse: 'la vita dell'uomo sulla terra mi fa pensare al volo d'un passero, che in una notte d'inverno entra nella sala dove tu e i tuoi guerrieri cenate intorno al fuoco, l'attraversa per un istante al riparo dalla tormenta, e poi esce dall'altra parte e scompare di nuovo nell'ignoto'. L'angoscia del buio da cui veniamo e dove ritorneremo la provavano anche i barbari, e non bastavano a scacciarla i fuochi accesi e i fiumi d'idromele, nelle grandi sale di legno dalle finestre senza vetri: la tradizione classica e cristiana del Mediterraneo offrì loro una risposta, e proprio da quell'incontro nacque il nostro Medioevo." (da Alessandro Barbero, Per il monaco tra le nebbie il faro è Roma, "TuttoLibri", "La Stampa2, 23/08/'08)
Historia ecclesiastica gentis Anglorum di Bede, Boniface, Robert Hussey (da GoogleBooks)

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