sabato 16 agosto 2008

Lo stato delle cose di Richard Ford


"Richard Ford è uno dei massimi narratori americani contemporanei. Amico di Raymond Carver, insieme allo scrittore scomparso nel 1988, a Bukowski e a Tobias Wolff, Ford è esponente della corrente letteraria del Dirty Realism. Ford è noto e apprezzato soprattutto per la monumentale saga di Frank Bascombe, uomo comune e laboratorio al tempo stesso di introspezione e di osservazione, insieme disincantata ed ingenua, sull'amore, la vita, la morte, i limiti, la felicità e la sua fondamentale impossibilità. Nel suo ultimo romanzo, Lo stato delle cose (Feltrinelli), Frank ha 55 anni ed è agente immobiliare in quella provincia americana che, invece di essere motivo di ludibrio e critica come in molti romanzi contemporanei, è rispettata quasi come un luogo dell'anima. La narrazione accompagna il lettore lungo una manciata di giorni vissuti da Frank - come nei due romanzi precedenti, Sportswriter e Il giorno dell'indipendenza - nei quali un infinito e vivissimo groviglio di relazioni umane si dipana intorno all'essenza limpida del protagonista che, mai come ora, è alla resa dei conti con se stesso, dopo la scoperta di un cancro e l'abbandono della moglie. Ne Lo stato delle cose ha scelto di concentrarsi su ciò che accade al corpo di Frank Bascombe: il cancro, le cure. 'Concentrarmi sulla condizione fisica di Frank è stata una scelta che mi ha permesso di dargli una sfida da affrontare, come ho fatto nei romanzi precedenti. In questa occasione, data l'età di Frank, mi è sembrato naturale giocare la sfida sul piano del corpo e della coscienza che Frank, e tutti noi, possiamo avere di ciò che accade a quel fenomenale veicolo di emozioni e sensazioni che è il corpo. Il corpo è un sacco che ti separa dal mondo. E' un limite, ma è dal confronto con i limiti che nascono cose come la felicità per ciò che si ha o il desiderio per ciò che manca. Non c'è peccato nell'ascoltare il corpo, quello che cerca di dirci. Conosci te stesso'. [...] I suoi libri abitano la mente dei lettori per un tempo più lungo di quello riservato alla semplice lettura. 'Premesso che io scrivo per i lettori contemporanei e non per la posterità, se un mio libro rimane nella mente di un lettore a lungo, ciò mi rende felice. Ma al tempo stesso ho abbastanza discernimento da immaginare che questa persistenza, reale o immaginaria, dei miei romanzi non sia merito esclusivo dei miei romanzi stessi o delle mie capacità. Penso che la vita offra temi ricorrenti: le relazioni amorose e quelle familiari, l'approssimarsi della morte, e così via. Sulla centralità di questi temi siamo, in genere, tutti d'accordo. E sono questi i temi che amo trattare. Quindi credo che ciò che rimane davvero nella mente del lettore siano i temi, più che i romanzi'. Si direbbe quasi che lei abbia scelto di scrivere tre romanzi con Frank Bascombe per trasformarlo gradualmente - e magicamente - in una persona vera. 'La mia scelta non è dettata dal desiderio di trasferire Frank dalla dimensione narrativa al mondo reale. I romanzi - e questo vale per quelli singoli, come per quelli composti da più libri - servono a dimostrare che esiste qualcosa di importante là dove il lettore, prima di leggere il romanzo, non vedeva nulla. Scrivere una serie di romanzi significa solo che lo scrittore farà apparire questo qualcosa o dirigerà il suo sguardo verso un orizzonte più vasto di quello che si sarebbe potuto racchiudere in un libro solo'. Se, come dice lei, lo scrittore materializza delle realtà di cui il lettore non sospettava l'esistenza, questo vale anche per le relazioni tra le cose, gli eventi? 'E' uno dei compiti della letteratura. Il filosofo Daniel Dennet sostiene che gli uomini hanno una tendenza innata e potente a trovare una volontà e un'anima all'interno di cose che non sono enti dotati di volontà. La letteratura risponde a questa tendenza, in modo mirabile, inventando relazioni ed insistendo su queste relazioni che magari non esistevano prima del romanzo e cesseranno di esistere non appena il lettore avrà finito di leggere. Io non credo che tutte le cose siano correlate e sincrone. Però credo nel potere dell'autore di imporre causalità al mondo che descrive. Quello che voglio dire è che le relazioni tra le cose si creano grazie all'intervento di qualcuno, come l'autore o un qualsiasi osservatore, che se ne prende la responsabilità. Non si creano da sole, e non sono opera di 'forze esterne' alle quali dovremmo sottometterci'. Se lei pensa ad un suo romanzo, come lo immagina? Pensa ad una copia fisica del libro stampato? Pensa all'insieme di fogli su cui l'ha scritto? 'Non penso a qualcosa di fisico, ma penso a ciò che volevo dire con quel romanzo. All'urgenza interiore che me l'ha fatto scrivere. Il romanzo è per me soprattutto il miglior mezzo di comunicazione della storia dell'umanità. L'altro giorno mi è capitato di leggere un'intervista a Umberto Eco sul "Paris Review". Eco diceva che le narrazioni fanno parte di quegli argomenti sui quali non si può davvero teorizzare. Concordo pienamente, e aggiungo che non si può teorizzare sul romanzo perché i romanzi, o l'essenza dei romanzi, sono oggetti - in un certo senso - superiori alle teorie. Le narrazioni sono quasi sempre il modo più vero e potente - tra quelli che abbiamo a nostra disposizione - per esprimerci. La complessità, la ricchezza e la pienezza di un romanzo ti danno modo di esprimerti su un argomento con una varietà di sfumature e una completezza che non puoi avere altrove. Nei romanzi le anime si muovono e tutto ciò che vedi nasce più dai loro spostamenti e scontri che dalle loro mere definizioni. I romanzi sono una specie di vento che tira su i rimasugli della vita quotidiana dalle strade polverose dove spendiamo i nostri giorni, li fa avvitare nell'aria creando figure sempre nuove e ce li riporta addosso lasciandoci lì con un mezzo sorriso sciocco, a chiederci cosa ci sia successo. A chiederci perché ridiamo e perché piangiamo'. Cosa le lasciano dentro i romanzi che ha scritto? 'Qualche rimpianto, forse. Sono passati due anni da quando ho finito di scrivere Lo stato delle cose, ma mi capita ancora oggi di imbattermi, di tanto in tanto, in qualcosa che avrei potuto mettere nel libro per farne un romanzo migliore. Ciò mi dà un piccolo senso di perdita: perdita di occasioni, di stimoli e così via. Questi sono pensieri che, se troppo frequenti, possono portare alla nevrosi. Non è il mio caso. Per come la vedo io, queste piccole fitte di perdita, questi leggeri morsi di rimpianto dimostrano solo quanto io ami il mio lavoro di scrittore. Alla fine, questi piccoli dolori mi riscaldano il cuore'." (da Giuliano Aluffi, Io e Frank. Storia di un'amicizia: con il mio personaggio, "Il Venerdì di Repubblica", 15/08/'08)
Intervista a Ford (da RadioAlt)
"One on One with Richard Ford" (da Powell'sBooks)

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