lunedì 11 agosto 2008

La poesia d'amore antica


"Davvero interessante l'iniziativa di Rizzoli di proporre un'ampia raccolta della poesia d'amore antica, da Omero a Ovidio, tradotta e commentata da grandi studiosi. L'opera si vale di un saggio di Luca Canali, che fornisce le coordinate interpretative di questa grande esperienza. Sì, perché nei secoli che intercorrono tra la trascrizione dei poemi omerici (VIII secolo a. C.) e la pubblicazione delle opere erotiche di Ovidio (fine del I secolo a. C.) il mondo antico conosce trasformazioni epocali. Politiche innanzitutto, che vanno dal lento processo di formazione della polis alla creazione di imperi multietnici, con Alessandro e poi con Roma. Culturali, con la nascita della filosofia, della poesia lirica, del dramma, e in seguito con i nuovi apporti, anche sulla letteratura, della filosofia e della scienza ellenistiche. Con tutto quello che è passato in mezzo, insomma, ogni paragone tra i modelli greci e i loro epigoni ellenistici e latini non ha senso se il criterio di giudizio e quindi di valore risiede nell'anteriorità e dunque nella maggiore autenticità dei greci rispetto a chi è venuto dopo. Saffo e Anacreonte, per intenderci, non sono 'più grandi' di Catullo o di Orazio, ma solo diversi pur condividendo forme, generi e figure con i loro emuli latini. Sarebbe come confrontare i tragici ateniesi con Shakepseare, Virgilio col Tasso, e cercare in questi ultimi i segni di una loro minore grandezza perché meno autentici rispetto ai modelli antichi. Questo ampio affresco della poesia d'amore antica parte dunque da Omero dove troviamo la sofferenza di Ulisse, diviso tra la nostalgia per il suo oikos e l'amata Penelope, e l'irresistibile passione per la ninfa Calipso che lo trattiene nella sua isola. Una prima contrapposizione tra un eros sensuale che si ripropone ogni notte nel segreto di una grotta (Calipso, probabilmente 'colei che nasconde') e la pace coniugale. Seguono i lirici greci con Saffo, tra gli altri, che vede nell'uomo che siede di fronte alla fanciulla da lei amata quasi un dio, lasciandoci la rappresentazione della gelosia che Catullo sei secoli dopo avrebbe fatto propria, e in cui ci riconosciamo ancora. Dopo i lirici, la tragedia con Euripide e le sue grandi figure femminili, Alcesti, Medea, Fedra. Quindi la poesia alessandrina, in cui spicca il III libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio, ovvero la rappresentazione 'psicologica', in senso epicureo, dell'innamoramento di Medea per Giasone. A Roma, è Lucrezio a riprendere questo filone filosofico-scientifico per tradurlo in una teoria fisiologica dell'amore, dove ogni ulteriore pretesa sul prorpio partner (esclusività, possesso) è destinata per natura a rimanere insoddisfatta. Virgilio coniuga questa teoria 'negativa' dell'amore con la propria concezione del Fato, facendo di Didone nell'Eneide una duplice vittima. In Orazio, l'amore è la vittoria di una battaglia nella guerra invincibile dell'uomo contro il tempo che ci consuma. Per Ovidio, infine, è un gioco, amorale per definizione, e forse per questo così attraente, dove le regole le detta il più bravo." (da Martino Menghi, Amore, l'eterna musa, "Il Sole 24 ore domenica", 10/08/'08)

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