Biblioteca civica "MINO MILANI" bibliogarlasco@yahoo.it tel. 0382/801009 "Le paradis, à n'en pas douter, n'est qu'une immense bibliothèque" (Gaston Bachelard) SELEZIONE DI ARTICOLI SULL'UNIVERSO-LIBRO
venerdì 22 agosto 2008
Mahmoud Darwish (1941-2008)
Write down!
I am an Arab
and my identity card number is 50,000
I have eight children
And the ninth will come after a summer.
"Mahmoud Darwish era un mio amico. Un amico raro, prezioso, di somma eleganza, rigoroso, leale, determinato e oltre tutto aveva senso dell'umorismo. [...] Ho avuto la felicità - e sperimentato la difficoltà - di tradurre alcune delle sue poesie ed è nel corso di tale lavoro che mi sono reso conto di quanto feconda fosse la sua fantasia, quanto inconsueto e splendido il suo vocabolario. In qualche caso per tradurre un'unica sua parola ho dovuto scrivere una frase intera. Era nato poeta, non lo è diventato: lo era dalla nascita. Non era militante nel senso classico del termine, anzi, direi che non era nemmeno un poeta impegnato, perché con tutto il suo essere la sua vita aveva senso e significato solo grazie alla poesia e nella poesia. Non era poeta in quanto palestinese o perché aveva patito lo sradicamento e l'esilio, ma era poeta proprio per poter esprimere ciò che milioni di uomini soffrono: ingiustizie, umiliazioni, privazioni e disprezzo. Detestava che di lui si dicesse che era un 'poeta della resistenza': come comune cittadino resisteva, ma il poeta che era in lui andava oltre, portava il sogno di un popolo nei focolari più lontani e più estranei alla questione palestinese. Uno dei suoi primi componimenti dice: 'Colui che mi ha trasformato in esule mi ha trasformato in bomba. So che sto per morire, so di combattere una battaglia persa per il momento, perché essa appartiene al futuro. So che la Palestina - sulla carta - è lontana. So che avete dimenticato il mio nome, la cui traduzione avete deformato. So tutto questo. Ed è per questo che porto la Palestina fin nei vostri boulevard, nelle vostre case, nella vostra camera da letto'. Ha assunto posizioni politiche inequivocabili, in modo particolare quando ha lasciato l'Olp nel 1993 per esprimere il proprio scetticismo - per non dire opposizione - nei confronti degli accordi di Oslo. Ciò che è accaduto in seguito - ahimé - gli ha dato ragione. Come il suo compatriota Edward Said, aveva uno spiccato senso della politica, perché era un uomo libero, mai assoggettato a un partito o un'ideologia (entrò nel partito comunista palestinese nella prima giovinezza). Ma a contare davvero nella sua vita è stata la scrittura, la poesia. Era folle d'amore: amore per la libertà, per la terra confiscata, per la sua casa natale rasa al suolo dall'occupante. Era folle d'amore per la lingua araba, per la donna, tutte le donne che non sono metafore della patria assente. Folle d'amore per gli altri, quelli ai quali pensava ogniqualvolta prendeva in mano la penna. Folle d'amore per la vita che lo sfidava. Si rallegrava dei propri sogni, delle proprie ambizioni. Era un uomo ebbro di vita, che non si lasciava mai ingannare dalle apparenze, dalle menzogne della politica. Molto semplicemente, era un visionario, senza scalpori. Non parlava mai di sé, della sua peosia. Non attirava mai volutamnete l'attenzione su di sé, amava ridere, scherzare e raccontare con leggerezza episodi gravi. Un giorno, a Valencia - stavamo chiacchierando non ricordo più di che cosa, ma rammento distintamente le sue parole - mi disse: 'Io abito in una valigia'. In quelle parole c'era l'esilio, il suo dolore per l'esilio. Ne parlava a spizzichi e per metafore, senza soffermarvisi mai troppo. E' diventato famoso per una poesia che inizia così. 'Scrivi: sono arabo'. Poesia di circostanza, in realtà, che non ha mai amato molto e che l'ha perseguitato per molto tempo. Per reazione, forse, ha scritto molte poesie d'amore e per amore. [...] I temi che trattava erano universali: la terra, l'esilio, la morte, l'amore impossibile, la disperazione di coloro che sono deprivati di tutto, compresa la speranza. Come ha scritto il suo amico e traduttore (in francese) Elias Sanbar: 'Al di là di qualsiasi preoccupazione tecnica, sussistono le sue scelte primarie: in poesia qualsiasi idea, qualsiasi pensiero deve passare per i sensi. La poesia è prima di tutto orale, e dunque musica. Ed essa per resistere alla violenza del mondo si arma dell'umana fragilità'. Nel 200 il ministro israeliano dell'Educazione, Yossi Sarid, aveva proposto che alcune poesie di Mahmoud Darwish fossero inserite nei programmi scolastici, ma il primo ministro dell'epoca, Ehud Barak, vi si era opposto. La poesia è pericolosa, è contagiosa, indubbiamente. La poesia di Mahmoud Darwish celebra la resistenza, la giustizia e la dignità, valori universali che ancor oggi incutono paura. E non soltanto in Israele." (da Tahar Ben Jelloun, 'Porto la Palestina nelle vostre case', "La Repubblica", 12/08/'08)
"A person can only be born in one place. However, he may die several times elsewhere: in the exiles and prisons, and in a homeland transformed by the occupation and oppression into a nightmare. Poetry is perhaps what teaches us to nurture the charming illusion: how to be reborn out of ourselves over and over again, and use words to construct a better world, a fictitious world that enables us to sign a pact for a permanent and comprehensive peace ... with life."
"Mahmoud Darwish" (da GuardianBooks)
"Mahmoud Darwish, Leading Palestinian Poet, Is Dead at 67" (da NYTimes)
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