lunedì 18 agosto 2008

La vista offesa. Inquinamento visivo e qualità della vita in Italia


"In un noto racconto di Italo Calvino - riprodotto in numerose antologie scolastiche - il protagonista Marcovaldo lotta contro un'insegna luminosa. È la pubblicità intermittente di un Cognac che si chiama Spaak: dalla sua mansarda si vede solo la fine, 'Gnac', ma quando è accesa basta per oscurare del tutto (cioè illuminare troppo) la luna e il firmamento. Si tratta di un conflitto impari: distrutto il cartellone al neon con la fionda, eccone un altro, più grosso e più minaccioso, che fa rimpiangere lo 'Gnac'. Morale didascalico-fantastica - meglio convivere e dialogare coi segni della città piuttosto che ciecamente distruggerli, alla maniera dei luddisti - che non può non tornare alla mente leggendo La vista offesa, un recente volume sul problema dell'inquinamento visivo e della conseguente (bassissima) qualità della vita nel nostro Paese. Lo ha curato Paolo Rognini, docente di Ecologia urbana a Pisa, e vi intervengono architetti e geografi, storici dell'arte e psicologi, giornalisti e agronomi, tutti esperti, da prospettive diverse, del tema delicato del paesaggio urbano. L'ipotesi del libro è degna di considerazione: l'inquinamento visivo, nella sua esorbitante presenza, è invisibile; prende qualsiasi cosa e momento della nostra esperienza d'ogni giorno al punto che non ce ne accorgiamo quasi più. Autobus e automobili straripanti, abusivismo edilizio dilagante, graffitismo metropolitano senza limiti, cartelloni pubblicitari dovunque, mancanza pressoché totale di cura nella pianificazione urbanistica e territoriale, orribili scempi paesaggistici in zone storiche e monumentali da conservare con cura sono altrettanti fenomeni che ripresentano l'annoso problema della bellezza e della bruttezza, e soprattutto degli effetti psicologici positivi e negativi che esse hanno sulla nostra stessa psiche. Ma l'inquinamento visivo prospetta altresì, e in modo più sottile e più penetrante, la questione dell'immagine e dell'esperienza visiva quotidiane, dunque dell'altrettanto annosa problematica della cosiddetta civiltà delle immagini, in qualche modo contrapposta alle epoche precedenti, dove, si dice forse con troppa fretta, a dominare sarebbero state invece le pratiche della scrittura e della lettura.
Riappare in questo terreno teorico sdrucciolevole, percorrendolo con grande maestria e intelligenza, Isabella Pezzini, semiologa di prestigio e docente alla Sapienza, in un volume che s'intitola appunto Immagini quotidiane, dove si discute un po' di tutto: dai manifesti elettorali alle foto di cronaca, dai ritratti dei politici ai reportage televisivi, dalle immagini diagnostiche alle testimonianze di distruzione urbana della seconda guerra mondiale, arrivando sino alle collezioni fotografiche di Marcel Proust e Roland Barthes. La prospettiva teorica del libro è assai chiara: più che occuparsi della questione estetica del bello, del brutto e dei loro eventuali effetti psicologici, Pezzini si preoccupa di esaminare i differenti usi sociali delle immagini, i significati che esse assumono all'interno dei 'discorsi influenti della comunicazione contemporanea' (pubblicità, politica, informazione, costruzione della memoria collettiva etc.), i ruoli strategici che esse giocano nei differenti contesti e situazioni in cui vengono inserite. Già, perché, anche se poco
ci si riflette, le immagini quotidiane molto raramente stanno 'in cornice', isolate e museificate; per lo più, esse appaiono in processi comunicativi più ampi dove si mescolano e si ibridano con altre immagini, con parole e con musiche, a formare flussi discorsivi tanto ibridi nella composizione espressiva quanto interminabili nel tempo e onnipresenti nello spazio. Le immagini sono assai raramente insignificanti, a patto di non star da sole, e di prestarsi ad assumere sensi sociali anche molto diversi. Più che illustrare o rappresentare, come spesso si pensa, esse costringono a una meditazione (è il caso delle fotografie inserite nei libri di Sebald), enfatizzano una degradazione (si pensi alle foto di Saddam Hussein appena catturato), propongono un ricatto (basti l'esempio della celebre icona di Moro catturato dalle Brigate rosse, su cui ha scritto di recente anche Belpoliti), creano effetti di sospettosa nostalgia (come certe trasmissioni autocelebrative della Rai). L'apparente banalità che le contraddistingue, l'incuranza costitutiva che esse manifestano verso l'estetica, la nonchalance etica con la quale ci si presentano negli schermi d'ogni tipo sono altrettanti ingredienti che partecipano alla produzione della loro efficacia. E se è così, imparare a conviverci, come faceva Marcovaldo, forse non è tutto: occorre anche e soprattutto saperne riconoscere il linguaggio, alfabetizzarci alle visualità." (da Gianfranco Marrone, Qui ci hanno inquinato pure gli occhi, "TuttoLibri", "La Stampa", 09/08/'08)
Se questa è una città. La condizione urbana nell'Italia contemporanea di Vezio De Lucia (Donzelli)

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