lunedì 11 agosto 2008

Serena Vitale: 'In galera per Aleksandr'


"Dopo la morte, avvenuta il 3 agosto alla fine di un'ennesima giornata di lavoro, quattro mesi prima del novantesimo compleanno, il corpo di Aleksandr Isaevic Solzenicyn è stato esposto nella Sala d'onore dell'Accademia delle scienze. I cordoni di sicurezza intorno all'edificio si sono dimostrati inutili. La non numerosa folla era costituita per lo più da adulti, vecchi. Tra i pochi giovani presenti, una ragazza ha dichiarato a un giornalista: 'Tutti lo conoscevano, ovviamente, ma in quanti lo avranno letto? Viviamo in un'epoca più facile e non ci piace rivangare il passato'. Fuori della Russia (trascuro le dichiarazioni ufficiali, il cordoglio del potenti, la presenza di Medvedev, mai perso di vista dalle telecamere, alle solenni esequie nel monastero Donskoj) la scomparsa di Solzenicyn è stata, paradossalmente, più sentita, e oggi l'Europa si misura con lo scomodo titano del '900 nel tentativo di un giudizio, di un bilancio globale e definitivo che non di rado risulta invece parziale e lacunoso, talvolta ambiguo. Da una parte si celebra lo strenuo lottatore, l'eroico testimone che ha rivelato al mondo la sconfinata mappa dell'Arcipelago Gulag (più che la sua esistenza, ha osservato Glucksmann, ha rivelato la possibilità di resistenza e riscatto nell'inferno concentrazionario), il martire perseguitato, dall'altra si prendono le distanze dalle sue idee 'reazionarie' e 'conservatrici'. Gli si rimproverano, più o meno esplicitamente, l''involuzione' che negli ultimi anni sembrava portarlo verso un'alleanza con il potere (con Putin: la pragmatica accettazione di un'autorità forte, capace di liberare la Russia dalle ultime metastasi del comunismo, di sanare i disastri del caotico mutamento di regime), la profonda religiosità, la critica delal ragione occidentale che lo ha sempre accomunato a uno dei più fecondi e originali filoni dle pensiero russo (si pensi soltanto a Dostoevskij) ... Nell'unanime coro di elogi, molti capziosi distinguo separano artificiosamente l'uomo dall'opera cercando di smussare gli spigoli contro cui per decenni è andata a urtare l'intelligencija liberal occidentale. E di nuovo non è stata resa giustizia all'ultimo grande rappresentante della cultura russa novecentesca, di nuovo si sono perse di vista molte cose. Per esempio che Arcipelago Gulag (libro fondamentale per la comprensione del più buio '900, quanto quelli di Orwell, Arendt, Levi) ha per sottotitolo Saggio di indagine letteraria: la sua terribile bellezza sta nella tensione - etica e poetica insieme, secondo la più nobile tradizione russa - del racconto, nella lingua, ibrido impasto in cui la parola del colto uomo di lettere che amava Nabokov e Cvetaeva si umilia fino a inglobare il gergo burocratico-poliziesco e quello del lager, tende a scioglersi e annullarsi nella lingua degli umili, istintivamente vicini alla verità. La verità: unica ideologia di Solzenicyn, che con gli strumenti dell'arte, in migliaia e migliaia di pagine (l'Arcipelago non deve far dimenticare capolavori come Una giornata di Ivan Denisovic, Divisione cancro, Nel primo cerchio, Vivere senza menzogna ...) ha demolito non un sistema politico o una forma di potere (di quello si occupa la Storia), ma la menzogna che è alla base dell'ideologia. [...] Ricordo le generazioni cui Solzenicyn insegnò l'arte del ricordare, la cui coscienza venne svegliata, come da uno sparo, dalle sue parole sulla casualità di un male banale e anonimo, dal suo imperioso richiamo alla responsabilità individuale. Ricordo le persone che rischiando severissime pene si scambiavano segretamente le pagine dattiloscritte (la quinta copia ottenuta con la carta carbone era ormai illeggibile, ma si cercava ugualmente di indovinare ...) dei libri di Solzenicyn, i lettori che a loro volta le ricopiavano, di notte, in cinque copie. Ricordo i delatori, integerrimi sudditi sovietici: 'Ho sentito un ticchettio sospetto, come di una macchina per scrivere, nella stanza accanto ...'. Ricordo anche la ragnatela di provocazioni, forse la meno conosciuta forma di persecuzione che Solzenicyn dovette subire. Oltre a stampare in un numero ristrettissimo di copie, per uso esclusivo della nomenklatura, i libri di Solzenicyn, il Kgb faceva circolare ad arte falsi samizdat delle sue opere (piene di errori, ma della filologia ci si curava poco in quell'epoca pregutenberghiana) costringendo lo scrittore a venire allo scoperto, ad autorizzare in gran fretta la pubblicazione delle sue opere - non corrette, spesso mutile - all'estero, il che innescava nuove e più drastiche misure repressive. Io stessa credo di aver contribuito (in parte infinitesimale, per fortuna) a quella sporca strategia: dopo molti appuntamenti clandestini in varie stazioni del metrò moscovita, nella primavera del 1968 un dissidente mi consegnò il microfilm di Nel primo cerchio; in cambio chiese 500 dollari a favore di un imprecisato 'gruppo pro-Solzenicyn'. A causa di quegli ingombranti metri di celluloide (inutili: altre copie del manoscritto erano già arrivate in Italia) conobbi qualche giorno le carceri sovietiche. Chissà, penso oggi sorridendo della mia ingenuità giovanile, se era un vero dissidente, un funzionario del Kgb, un volgare truffatore ... Giacché neanche l'insulto di essere venduto al mercato nero - come il frammento di un'iconostasi, un ovetto Fabergé, un chilo di caviale nero - è stato risparmiato, in vita, a Solzenicyn. Che la terra le sia leggera, Aleksandr Isaevic. libera anche dal peso di tardivi onori." (da Serena Vitale, In galera per Aleksandr, "Il Sole 24 Ore Domenica", 10/08/'08)

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