giovedì 28 agosto 2008

Melania Mazzucco: "Cinema, ultima tentazione"


"Il cinema è la crisi di mezza età degli scrittori. Colpisce quelli che ce l'hanno fatta, che hanno avuto successo e/o hanno scritto già l'opera importante, sono già stati gratificati, premiati, e si sentono sazi. Non è - quasi mai - una crisi di frustrazione, ma di appagamento. Non una crisi negativa ma un rito di passaggio. Il matromonio con la letteratura (o il teatro, perché qui non si distingue tra romanzieri, saggisti e drammaturghi) entra temporaneamente in crisi. C'è bisogno di una pausa, una separazione: cercare altrove nuovi stimoli, praticare nuove esperienze. E' una storia ricorrente che svariati buoni nomi della letteratura del secondo Novecento hanno percorso. Ne ricordo qualcuno, come la memoria, surriscaldata in un torrido pomeriggio romano d'agosto, me li propone. Alberto Moravia, che nel 1951 dirige il corto E' colpa del sole. Peter handke, che nel 1978 dirige dal suo romanzo La donna mancina: prodotto da Wenders, con il quale già collaborava, conferò l'estenuata bravura di Edith Clever e Bruno Ganz. Paul Auster, che dopo aver ceduto al cinema la sua trilogia su New York si ritaglia uno spazio in proprio con Smoke. Il più fortunato è stato però Tom Stoppard. Nel 1990 diresse lui stesso Rosencranz e Guildernstern sono morti, dalla sua commedia, una geniale rivisitazione di Shakespeare che però era anche una riflessione sul senso del destino. Il film era l'illustrazione fedele del testo originario, ma Stoppard scelse due attori promettenti come Gary Oldman e Tim Roth e vinse il Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia. Era l'inizio di una nuova carriera? Niente affatto. Gli scrittori di solito restano autori di una sola opera. Nel migliore dei casi si godono il piacere di aver realizzato un buon film. Girano il mondo con i festival, mietono premi, rilasciano interviste in cui tutti fanno loro la stessa domanda: in cosa è diverso dirigere un film o scrivere un libro? E loro rispondono, con gentilezza, senza mai poter dire la verità. Che lo scrittore è sempre anche un regista. Perché dirige la sua troupe di fantasmi, li fa recitare, li inquadra, monta le scene, sceglie i costumi, taglia, spegne le luci. E proprio per questo, pochi scrittori hanno voglia di dirigere davvero. Girare un film significa alzarsi all'alba, prendere freddo sul set, spolmonarsi a guidare centinaia di comparse, lottare per i finanziamenti, la distribuzione, le sale: mentre il cinema della mente ha bisogno solo dello schermo di un computer e costa poco più di niente. La scappatella con l'amante - il cinema - non ha conseguenze, e tutto viene riassorbito. La moglie Letteratura (o Teatro) accolgono il fedifrago amorevolmente, e lo tengono più stretto di prima. Lo scrittore torna al romanzo, o alla commedia. Altri trarranno film dai suoi libri, coem spesso hanno fatto anche prima; continueranno a chiedergli di scrivere sceneggiature, tratte dai suoi libri ma non necessariamente. Le tangenze possono essere infinite, perché il cinema ha sempre tratto ispirazione dalla letteratura e dal teatro. Ma l'incrocio vero - rischioso, totale - non si ripeterà più. Il cinema resta una nostalgia, un piacere che ci si è concessi. Ho spulciato i miei appunti, i miei database. Nessuno scrittore ha mai cominciato uan nuova carriera da regista (né viceversa: il discorso vale anche per i registi che alla crisi di appagamento scrivono un libro, come Almodovar e Burton). L'eccezione che conferm ala regola è pasolini che dopo Accattone non abbandonò più il cinema, finendo semmai per abbandonare il romanzo e la poesia. Per tutti gli altri è stata una parentesi. Un tradimento. Talvolta significativo, perfino importante. Una vera storia d'amore. Non dura mai più di un'estate. Buona fortuna a Handl, Baricco, Houllebecq." (da Melania Mazzucco, Cinema, ultima tentazione, "Il Sole 24 Ore Domenica", 10/08/'08)

Dal romanzo di Melania Mazzucco, Un giorno perfetto il film di Ferzan Ozpetek

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