martedì 5 aprile 2011

Zazie dans le métro


"Un viso affilato, un naso appuntito, due occhi grandi e distanziati, capelli castani, quasi rossicci. Zazie? Davvero? Quando un artista visivo decide di dare un volto a un personaggio letterario è come quando un «amico di penna» ci invia per la prima volta una sua fotografia. Ora è da più di cinquant'anni che Zazie ne ha (circa) undici. Raymond Queneau ha infatti pubblicato questo suo capolavoro nel 1959. Il nome veniva dalla «Grande Zaza», una donna leggendaria, adorata dagli «Zazou», che erano i giovanotti appassionati di jazz alla fine degli anni Quaranta (descritti da Boris Vian, ancora più che da Queneau). È proprio in quegli anni che Queneau incominciava a progettare il suo libro e a scriverne i primi capitoli. Mentre stava per finirlo, nel 1957, pubblicò una poesia su una rivista: Non faccio parole crociate è un mio limite e io l'accetto ma che avviene quando in estate France-Soir porta ai bordi dell'Epte il vociare delle città? Guardo le parole crociate dopo aver visto di Juliette l'affascinante insanità. L'Epte è un fiume dell'Alta Normandia, dove Queneau villeggiava. Juliette era la protagonista di un fumetto che il quotidiano France Soir pubblicava in ultima pagina, vicino al cruciverba. L'«affascinante insanità» è sicuramente, uno degli attributi principali anche di Zazie, così come il «vociare della città» è uno degli indubbi protagonisti del libro. Però Juliette era una (giovane) donna. Zazie, invece, è una fillette, una ragazzina sullo spartiacque tra ultima infanzia e prima adolescenza.
Vladimir Nabokov aveva familiarizzato con Raymond Queneau durante un party parigino in cui (ha poi ricordato Nabokov in un'intervista) avevano parlato di «Alice, Zazie e di une autre fillette ». Lolita, possiamo presumere: e la triade risulterà ben esplicativa dei temi ricorrenti e delle ossessioni comuni a tre fra i maggiori virtuosi scrittorigiocatori di tutti i tempi. Tre ragazzine in fuga, sulle superfici di scacchiere inglesi, strade americane o vie parigine, inseguite da perversioni adulte. Fra quella tutta cifrata e censurata di Alice e quella esplicita e scandalosa di Lolita, Zazie ha una sessualità intermedia: inattiva ma provocatoria, ignorante e curiosa. Zazie dispone di due azioni esplorative: una, attiva, è la fuga, perché Zazie scappa sempre verso qualcosa, e mai soltanto da qualcosa; una, di ritrazione, è la celebre esclamazione «mon cul!». Finalmente Viola Cagninelli la rende in un italiano sensato: «ste palle!» (Franco Fortini, nel tradurre il romanzo per Einaudi nel 1960, era ricorso a un terribile «Un c...», proprio con i punti di sospensione; certo non l'unico dettaglio in cui la storica traduzione di Fortini non è invecchiata bene). Le eroine di Carroll, Nabokov e Queneau cadono nel sonno in altrettanti momenti cruciali. Alice si addormenta prima che il coniglio la induca a calarsi nel buco; Zazie perde coscienza prima che la facciano scappare per i sotterranei di Parigi e poi per la sospirata metropolitana; Lolita si addormenta prima che lei e Humbert Humbert diventino «tecnicamente amanti». I sonni di Alice, Lolita e Zazie sono tre fiabeschi mancamenti nel bosco delle fantasie adulte. E chissà come è essere una fillette che si addormenta, mentre uno scrittore la scruta. Uno scrittore, o anche un regista: l'anno dopo l'uscita del libro, Louis Malle ne ha fatto un film in cui Zazie era interpretata da Catherine Demongeot, una ragazzina dal viso tondo e un sorriso caratterizzato dai denti distanziati. Per certi versi era un film già il romanzo di Queneau: che è veloce, monta scene e gag seguendo un ritmo di allegro, poche descrizioni e molta azione e dialogo. Ma Louis Malle ha dovuto inventare un linguaggio filmico molto stravagante per restituire l'irrealtà del realismo di Queneau. È forse ancora più calzante dire che Zazie fosse già un fumetto. Del fumetto ha l'energia pinocchiesca, il talento per l'avventura assurda e dilatoria, l'incomprensione con il mondo adulto, l'aria sempre canzonatoria. Parla per esclamazioni e brevi frasette sprezzanti, ognuna delle quali sta agevolmente in una nuvoletta.
L'ultima edizione francese di Zazie dans le métro è quella nei volumi della Pléiade (Gallimard): con annotazioni, esegesi, filologia testuale degni del classico letterario che l'opera di Queneau è nel frattempo diventata. Ma con tutta la grata reverenza che si deve all'alta editoria filologica, viene quasi da pensare che la vera Zazie oggi assomigli piuttosto a quella risvegliata,e risvelata, da Clément Oubriere. La Zazie che si acciglia, storce la bocca, indossa una maglia a righe e spalanca gli occhi mentre dice a sua madre «Sono invecchiata». Il nervosismo stizzito di Zazie è tutto nell'accostamento fumettistico degli istanti, nei raffinati giochi di colore tra i notturni violacei e i fondi rossi delle azioni e delle parole più violente. Sarà triste dirlo ma oggi può capitare di leggere il romanzo di Queneau senza coglierne lo spirito. È proprio uno spirito fumettistico, legato all'«affascinante insanità» della giovinezza e della modernità metropolitana, allo sberleffo verso i monumenti e verso ogni cerimoniosità adulta (ivi comprese le perversioni da night e le idiozie da turismo di massa). Forse occorreva, allora, che qualcuno facesse di Zazie un vero e proprio fumetto perché la sperimentazione letteraria di Queneau rendesse di nuovo disponibile a tutti la sua acuminata allegria. Oggi Alice ha avuto bisogno dell'illusione filmica del 3D per riavere attenzione; Lolita è diventata un nome comune, scritto in minuscolo nei vocabolari di tutto il mondo, per riferirsi a realtà ben più disperate del pur tristissimo destino dei protagonisti di Nabokov. Zazie potrebbe rallegrarsi, per ora è quella delle tre che ha fatto la fine migliore. Chiedere direttamente a lei se è d'accordo su questo suo fumettistico risveglio sarebbe però inutile: conosciamo da sempre la sua risposta." (da Stefano Bartezzaghi, Dove sta Zazie, "La Repubblica", 04/04/'11; dalla prefazione di Stefano Bartezzaghi del volume Zazie nel metrò edito da Rizzoli. )

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