venerdì 29 aprile 2011

Una letteratura da ridere


"Quando si tratta di cultura di massa la gente ride sin troppo facilmente, mentre quando si tratta di letteratura non ride abbastanza. Dicendo "troppo facilmente" intendo in maniera meccanica e con un' eccessiva sollecitudine. Prendete il pubblico allo spettacolo di un famoso cabarettista. A sentirli ridere si direbbe che obbediscano agli ordini della polizia, o che la risata si trasmetta come per contagio da una persona all'altra, a prescindere dalle battute del comico. Anzi, non c'è nemmeno bisogno che faccia battute; sarà sufficiente la semplice ripetizione di una cadenza o di un ritmo. Una volta innescato il meccanismo, sarà impossibile fermarli. Lo stesso a teatro, quando a una rappresentazione che viene giudicata divertente gli spettatori scoppieranno a ridere quasi prima che cominci, come se rispondessero a un dettame della moda. Questo va contro l'idea sentimentale della commedia come genere per sua natura trasgressivo e individualistico, un esercizio ribelle di intelligenza critica attraverso il quale manifestiamo il nostro disprezzo per ogni forma di ottusità, arretratezzae repressione. In realtà la risata è spesso l'esatto opposto di questo: un' espressione retriva di gregaria obbedienza alla tirannia del gruppo. Persino se non è fisicamente presente, il gruppo continua a esercitare la sua influenza, come quando la gente cita frasi culto di qualche commedia televisiva o radiofonica in gran voga, o quando qualche battuta arguta si diffonde in un baleno nella rete. In questi casi la risata, lungi dall' essere uno strumento di liberazione, ratifica la nostra appartenenza a una tribù, e finisce per essere un agente di reclutamento ai valori e alle convinzioni della tribù stessa. All'opposto, tranne quando un libro diventa universalmente noto - come Il giovane Holden o la Guida galattica per gli autostoppisti, dove la battute diventano una sorta di distintivo di appartenenza - la lettura è un' attività solitaria durante la quale ridiamo o piangiamo, dimentichi e incuranti di ciò che fanno gli altri. È possibile che la diffusione dei gruppi di lettura e dei club del libro sia indice di un certo disagio per la natura individuale della lettura; può darsi che l'era della tecnologia ci abbia resi così dipendenti da uno scambio rapido di opinioni che adesso abbiamo paura di leggere da soli. Magari ci saranno persone che si twittano il numero di pagina del libro che stanno leggendo, neanche fosse una faccenda di pubblico interesse. Ma fintantoché continuiamo a leggere da soli, siamo liberi come non può esserlo chi assiste, seduto in platea, allo spettacolo di un comico. E la risata che condividiamo con l'autore del libro ha più possibilità di essere fuori dal coro e ribelle. Tanto più allora c'è da rimpiangere che nell' ultimo secolo la letteratura, e specialmente il romanzo, abbia ampiamente dimenticato i suoi debiti verso la comicità. Non dico che non vi siano stati grandi romanzi comici negli ultimi cent'anni. Herzog di Saul Bellow è un romanzo straordinariamente divertente. Come Il lamento di Portnoy e Il teatro di Sabbath. Ma anche La zia Julia e lo scribacchino di Mario Vargas Llosa. O Karoo di Steve Tesich. Tuttavia si tratta di casi singoli, che non smentiscono affatto la tendenza generale. Sul moderno romanzo europeo è calato un che di sacrale, come se avesse acquisito un'eccessiva consapevolezza del fardello che doveva portare a seguito dell'indebolimento della religione nella cultura occidentale, da una parte, e del parallelo fiorire di una narrativa popolare "leggera" dall'altra. Lo sperimentalismo e altre forme di modernismo nate per superare un'idea di romanzo come prodotto destinato esclusivamente a lettori di cultura media (o bassa) si sono via via succedute mentre sempre più si assottigliava un pubblico serio per ogni genere di romanzo, ma il timore di essere etichettati come "divertenti" ha continuato a indirizzare romanzieri ed editori più ambiziosi (perché anche gli editori determinano gli andamenti della letteratura) verso una certa seriosità. Quel che era naturale per un romanziere della levatura di Jane Austen (dimostrare «la più completa conoscenza della natura umana, la più felice descrizione delle sue varietà, le più vive manifestazioni di spirito e di brio»), proprio come ciò che era naturale per Dickens (dilettare e avvincere, informare e interessare, ma soprattutto intrattenere), è andato perduto nei romanzi moderni. Nella sua nuova presunzione, il romanzo ha dimenticato che le sue origini imprescindibili sono nella narrazione scurrile di Rabelais, negli impudichi motti di spirito di Boccaccio e nell'ilarità più malinconica di Cervantes. Trovando vita nella prosa, e non nella poesia, il romanzo è nato come affermazione della vitalità del qui e ora, rifiutando le ipocrisie di coloro che vorrebbero renderci schiavi della religione, della patria, di un falso eroismo e di ancor più false convenzioni. Era una forma comica perché noi, liberati da tali falsità, siamo una specie comica. Che oggigiorno si debba fornire argomentazioni a favore della sostanziale serietà della commedia - una cosa scontata per Rabelais come per Jane Austen - mostra quanto le arti comiche siano cadute in disgrazia nella letteratura. Ma di fatto il romanzo non può sperare di essere serio, o di riacquistare anche solo in parte l'attenzione di cui godeva in passato, se abbandona quelle autentiche qualità di ingegno comico che lo caratterizzarono ai suoi inizi. Perché per ingegno comico si intende ben più di un'allegria semplicemente irrefrenabile, si intende un'esuberante messa in dubbio di ogni cosa, si intende irriverenza, il rovesciamento di ogni certezza, il capovolgimento dei nostri valori abituali, il terribile effetto corroborante che deriva dal rinunciare a tutto ciò che ci è caro. E non possiamo lasciar questo ai cabarettisti, perché i cabarettisti non fanno che servirsi della natura collettiva, contagiosae conformistica della risata. Quando siamo solo noi e la pagina, ridiamo nuovamente - da soli - come uomini liberi." (da Howard Jacobson, Una letteratura da ridere, "La Republica", 28/04/'11)

The Finkler Question (Bloomsbury Publishing)

L'enigma di Finkler (Edizioni Cargo)

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